Torsello (Corte d'Appello Figc): «Giustizia sportiva, ora una riforma»

Torsello (Corte d'Appello Figc): «Giustizia sportiva, ora una riforma»
di Giuseppe ANDRIANI
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Lunedì 8 Maggio 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 11:37
Violenza negli stadi, daspo, soluzioni, riforma della giustizia sportiva. Mario Torsello, presidente di Sezione del Consiglio di Stato e presidente, dal 2019, della corte d’appello della Figc, è sicuro: «La legge ha aiutato a prevenire la violenza nello sport». E sulla giustizia sportiva spiega: «È giunto il momento di un’iniziativa legislativa di sistema». È il presidente della Corte che aveva comminato la penalizzazione di 15 punti alla Juventus, con mano ferma sul caos plusvalenze. Ma su questo non commenta, per correttezza e garbo istituzionale. 
Dottor Torsello, in Italia esiste un problema di sicurezza negli stadi e tutela dell’ordine pubblico? 
«Il convegno di domani a Lecce serve proprio a fare il punto della situazione dell’ordine e della sicurezza pubblica nelle manifestazioni sportive. Il tema è antico. Dobbiamo pensare che Tacito, nei suoi Annales, racconta di una rissa sanguinosa che, nel 59 d.C., si scatenò nel corso di uno spettacolo di gladiatori nell’anfiteatro di Pompei (vent’anni prima dell’eruzione del Vesuvio) che degenerò in una tremenda strage. Tra i provvedimenti sanzionatori adottati, furono vietate per dieci anni ai cittadini di Pompei le riunioni di spettacoli gladiatori. Ecco, questo divieto costituisce un esempio ante litteram di “squalifica del campo” o anzi di divieto di accesso a impianti sportivi. Per la cronaca, la squalifica venne ridotta».
Ma il tema è attuale.
«Il tema è attualissimo, ovviamente. In realtà, per diverso tempo non si ritenne di predisporre specifici mezzi per contrastare la violenza negli stadi, lasciando che il fenomeno fosse affrontato con gli ordinari strumenti del diritto penale, in caso di reati. Tuttavia, anche a seguito ai tragici fatti dell’Heysel, il legislatore italiano, nel 1989, ha emanato una legge (la n. 401) che è diretta alla tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive».
Come valuta la legislazione attualmente in vigore? È efficace?
«La legge n. 401 del 1989 è stata modificata e integrata molte volte, quasi sempre sull’onda dell’indignazione suscitata da episodi di violenza. Proprio perché dettata dall’emergenza, ne è derivata una normativa frammentaria, priva di un serio lavoro di analisi e conoscenza del fenomeno. Quindi da un punto di vista tecnico lascia molto a desiderare. Bisogna però dire, se si va alla sostanza delle cose, che la legge ha sostanzialmente funzionato, limitando i fenomeni di violenza connessa a manifestazioni sportive e l’obiettivo principale degli interventi legislativi – quello di aumentare il livello di sicurezza e incolumità in prossimità degli impianti sportivi – è stato raggiunto, come è dimostrato dai dati statistici degli ultimi anni».
Ma perché esistono questi fenomeni di violenza?
«Ci sono tantissimi studi sociologici e psicologici in materia. A me sembra che l’impostazione più convincente è quella di chi sostiene che con lo sport emergono emozioni ad un livello più intenso del quotidiano, che si esprimono senza correre quei pericoli che si presenterebbero nella vita “normale”. Una specie di catarsi. Il fatto è che tale catarsi può degenerare nella violenza pura. E questo non è tollerabile».
Come valuta il divieto di accesso a impianti sportivi, il Daspo?
«In modo certamente positivo perché è un istituto che ha avuto un ruolo di forte deterrenza nei confronti di questi fenomeni. Anche l’autorità di polizia ne ha fatto un uso solitamente conforme alla legge, come posso testimoniare personalmente perché presiedo una Sezione del Consiglio di Stato che – tra l’altro - si occupa di valutare la legittimità di questi provvedimenti. Assistiamo poi ad un fenomeno molto particolare. Proprio perché l’istituto del Daspo ha funzionato, il divieto ha, con il tempo, ampliato il proprio raggio d’azione diventando uno strumento diretto a tutelare tout court l’ordine pubblico».
Non limita la libertà dei cittadini?
«Il Daspo è una misura di prevenzione e soprattutto negli anni successivi alla Costituzione, pesava su queste misure l’esperienza del fascismo che ne aveva fatto largo uso per reprimere il dissenso politico. Oggi però possiamo dire che sia i giudici che la Corte costituzionale considerano questo strumento costituzionalmente legittimo perché la legge descrive con sufficiente determinatezza i presupposti in presenza dei quali applicare il Daspo. Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo ha aderito sostanzialmente a questa impostazione».
Lei, oltre a svolgere le funzioni di presidente di Sezione del Consiglio di Stato, è anche presidente della Corte federale d’appello della Figc. Gode, quindi, di un osservatorio privilegiato sui temi della giustizia. Qual è, secondo lei, lo stato della giustizia sportiva in Italia?
«È una situazione con luci e ombre, come accade nella valutazione di molti fenomeni istituzionali. Le luci sono date dalla qualità elevatissima dei giudici federali, dalla loro assoluta terzietà e indipendenza, dal fatto che il processo sportivo attua i principi del giusto processo. Anche da un punto di vista tecnologico – perlomeno nella Figc – siamo all’avanguardia perché, primi al mondo, utilizziamo il processo sportivo telematico, grazie all’impulso dato a questa iniziativa dal presidente Gravina. Ci sono però molte ombre. Da anni si gioca una partita istituzionale tra l’ordinamento dello Stato e l’ordinamento sportivo. Nonostante ben due sentenze della Corte costituzionale sono state emanate norme – ma anche sentenze - che estendono la giurisdizione statale anche a materie che dovrebbero essere riservate al giudice sportivo. Questo mi sembra, oltre che illegittimo costituzionalmente, anche non coerente. In questo senso, accrescere la competenza dei giudici statali a scapito dei giudici sportivi – che attuano una tutela alternativa - è una vera e propria contraddizione. In realtà è giunto il momento di una iniziativa legislativa di sistema, ponderata e non dettata dalle emergenze di diverso tipo che periodicamente si verificano nel mondo sportivo. Un’iniziativa che, finalmente, definisca in maniera chiara e stabile – per quanto istituzionalmente possibile - i diversi ambiti di competenza, non mortificando i principi affermati dalla Corte costituzionale».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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