Dallo smart working un'opportunità per il Sud. Ma i sindacati avvisano: «Servono tecnologie e il diritto alla disconnessione»

Dallo smart working un'opportunità per il Sud. Ma i sindacati avvisano: «Servono tecnologie e il diritto alla disconnessione»
di Massimiliano IAIA
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Martedì 1 Settembre 2020, 08:29 - Ultimo aggiornamento: 10:27
Nell'infuocato dibattito sui pro e i contro dello smart working, un dato sembra essere incontrovertibile: la possibilità di lavorare da casa costituisce sicuramente una grande opportunità per il Sud. Anche i sindacati concordano, ma al tempo stesso ammoniscono: «Il problema è che il Mezzogiorno resta indietro soprattutto per quanto riguarda la digitalizzazione, a partire dalle famiglie che non hanno in casa un pc o un tablet».

Il tema non è inedito, ma si ripropone prepotentemente con la fine di un'estate certamente anomala, e alla vigilia della ripresa lavorativa e - salvo sorprese - scolastica. A sei mesi di distanza dal lockdown che ha costretto studenti e docenti all'apprendimento a distanza e i lavoratori a produrre da remoto, si torna a parlare dell'opportunità offerta dallo smart working, che in molti casi ha stravolto le abitudini sociali ed economiche delle città. In positivo, per certi versi, in negativo per altri.

Nella lista dei pro ci sono naturalmente i vantaggi derivanti dai mancati spostamenti per raggiungere il luogo di lavoro: meno traffico, meno stress, maggiori possibilità di gestire anche alcuni impegni personali da casa, senza essere costretti a produrre all'interno degli uffici. C'è poi un altro aspetto che fa pendere in maniera significativa l'ago della bilancia in favore del Sud: chi lavora fuori ma è residente nel Meridione e ha avuto la possibilità di lavorare da casa durante e dopo il lockdown ha potuto constatare i vantaggi di un costo della vita certamente inferiore al Sud rispetto a quello che è richiesto nel Settentrione. Non proprio un dettaglio di poco conto, a parità di stipendio.

L'elenco degli elementi a favore finisce qui, perché anche i punti contro si rivelano numerosi, a cominciare dalle difficoltà comunicative non sempre risolvibili con i supporti informatici, una minore interazione sociale, l'esigenza di dover scindere il contesto lavorativo dal focolare domestico - aspetto tutt'altro che semplice soprattutto in case di piccole dimensioni - e, come fanno notare le stesse organizzazioni sindacali, anche il mancato rispetto degli orari di lavoro, con alcune imprese che in qualche caso hanno approfittato dell'immediata disponibilità del lavoratore al pc, sforando così sui turni prestabiliti.

C'è anche chi fa notare problemi di carattere economici, con bar, mense e ristoranti che rischiano di fallire se dovesse protrarsi la chiusura degli uffici. Ma è soprattutto su un aspetto che i sindacati puntano il dito: «Lo smart working - dice Pino Gesmundo, segretario regionale della Cgil - ha reso più marcate le disuguaglianze, perché non tutte le famiglie del Sud hanno un computer, non tutte le zone sono raggiunte da una connessione adeguata, e ci sono case piccole al cui interno genitori e figli devono studiare e lavorare in una stessa stanza. Lo smart working è senza dubbio una opportunità per il Sud, purché il Mezzogiorno non resti indietro. Bisogna creare le condizioni di partenza uguali per tutti, deve poter essere una scelta, e per quanto riguarda la scuola è fondamentale che ci sia una frequenza diretta. Detto questo, soprattutto per quanto riguarda il fronte universitario, ci sono certamente vantaggi anche nella possibilità di seguire le lezioni a distanza, e anche da questo il Sud può trarre opportunità».

Ma qual è il bilancio complessivo del sindacato sui sei mesi di smart working? «Dai dati in nostro possesso - precisa Gesmundo - non si tratta di un effettivo lavoro in smart working bensì di un lavoro in remoto, quindi senza diritto alla disconnessione, e questo è un problema soprattutto per le donne, con abusi sul piano dei diritti e delle tutele, perché gli orari non sono rispettati, perché non c'è un progetto definito. Ci sono aziende che ovviamente hanno approfittato della situazione. Ripeto: lo smart working rappresenta una grande opportunità, ma ci vogliono norme precise e concordate».Proprio ieri, parlando di smart working, il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo ha detto: «Ho più volte sottolineato la necessità di una revisione della disciplina del lavoro agile, che pure si è rivelato uno strumento fondamentale per garantire ad interi settori produttivi di continuare ad operare durante il lockdown: il 24 settembre ne parlerò con le parti sociali».

E diventa interessante anche il fenomeno south working. «È da approfondire e studiare però bisogna creare prima le condizioni favorevoli perché possa diventare una reale condizione di rilancio per il Mezzogiorno», aveva detto nei giorni scorsi il direttore della Svimez, Luca Bianchi. Il lavoro a distanza, aveva proseguito Bianchi, deve essere «supportato anche da interventi pubblici attraverso i comuni che mettono a disposizione, ad esempio, aree attrezzate di co-working in modo da rendere lo sviluppo oltre che più equilibrato anche più sostenibile e sociale».
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