«Da tempo il peso della fabbrica è meno rilevante per l'economia del territorio». L'intervista al sindaco Melucci

«Da tempo il peso della fabbrica è meno rilevanteper l'economia del territorio». L'intervista al sindaco Melucci
«Da tempo il peso della fabbrica è meno rilevanteper l'economia del territorio». L'intervista al sindaco Melucci
di Mario DILIBERTO
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Mercoledì 2 Giugno 2021, 05:00

«Ragioniamo da tempo in termini di una fabbrica con un peso non più particolarmente rilevante per l’economia di Taranto». Sono parole chiare quelle con le quali il sindaco Rinaldo Melucci mette in conto un futuro senza acciaierie e ciminiere. Rivendicando, dopo il verdetto del processo “Ambiente svenduto” e alla vigilia di quello del Consiglio di Stato sullo spegnimento degli impianti dell’area a caldo, rivendicando il lavoro portato avanti dalla sua amministrazione.

Allora sindaco, dobbiamo immaginare una Taranto senza siderurgico?

«Sicuramente il nostro impegno è quello di uscire dalla monocultura industriale che comporta l’odioso ricatto occupazionale con il quale i tarantini sono stati costretti a convivere. Il tema fondamentale resta quello della salute e della sostenibilità. In questo senso la sentenza della Corte di Assise per la città deve essere una chiusura dei conti con il passato. A questo aggiungo che dal 2012 il rapporto con la fabbrica è contraddistinto dalla negatività. Con cassa integrazione, e progressiva desertificazione dell’indotto locale. Il saldo per quanto ci riguarda, non è più positivo».

Come si concilia questo con il concetto di fabbrica strategica per il Paese?

«Sul punto noi siamo degli attenti osservatori di quello che il Governo verrà a proporre. Sulla strategicità ci possiamo trovare anche d’accordo. A patto, però, che ci si sieda ad un tavolo e si sia disponibili al confronto con la comunità e con i suoi rappresentanti e non solo, come si è abituati a fare, con i sindacati. La città oggi è consapevole delle sue opportunità e pretende di essere rispettata. Se il Governo vuole parlare di Taranto, deve farlo con Taranto. Siamo pronti ad ascoltare e collaborare».

Si è tornati a parlare di trasferire gli abitanti del rione Tamburi?

«Ho letto le parole del ministro Cingolani. Sul punto intendo essere chiaro. Questo, a mio avviso, non è parlare. È straparlare. Perché si ragiona di un quartiere di oltre 17.000 abitanti. Per deportare, usiamo i termini adatti, queste persone occorrerebbero miliardi. Il rione esisteva ben prima dell’arrivo della fabbrica. Le soluzioni sia in passato che oggi sono altre. E vanno nell’ottica della sostenibilità e dell’innovazione. Se non si comprende questo, sono sicuro che il siderurgico con i suoi impianti obsoleti si fermerà da solo».

Taranto può fare a meno d quei i posti di lavoro?

«Nel 2017, quando sono stato eletto sindaco, a questa domanda avrei sicuramente risposto di no.

Ora, invece, sono convinto che si possa fare. Certamente, trattandosi di posti di lavoro, la cautela è fondamentale. Ma oggi la situazione è diversa. C’è un grande fermento, nonostante la crisi imposta dal Covid. E abbiamo la consapevolezza che la sfida possa essere raccolta e vinta. A questo aggiungo, anche se so bene che l’argomento non piace, che solo il 30% degli attuali dipendenti diretti della fabbrica, è tarantino. Il resto proviene da altre province o da altre Regioni. Un motivo in più per ribadire che lo stabilimento non è solo un problema di Taranto. Ricordo, inoltre, che negli ultimi anni i lavoratori sono stati lungamente in cassa integrazione. È notizia di oggi, il rinnovo del ricorso agli ammortizzatori sociali. Oggi la fabbrica è un emblema di problemi ed è una etichetta scomoda per una città che ha tanto da offrire. Noi da tempo siamo all’opera su un piano di lavoro diverso, puntando sul mare, sul porto e sulla sostenibilità. La fabbrica deve stare al passo. Il Governo scelga davvero un cammino accettabile. Si metta in conto di chiudere l’area a caldo e si punti sulle nuove tecnologie, su energia pulita e si chiuda davvero i conti con il passato. La città lo chiede. E noi seguiamo quello che vogliono i tarantini». 

Cosa si attende dal verdetto del Consiglio di Stato?

«Ritengo che non ci si possa discostare da valutazioni già fatte da altri giudici. Ma il punto non è questo. Credo che la confisca dell’area a caldo, disposta l’altro giorno dalla Corte d’Assise del processo “Ambiente Svenduto” possa avere un peso non indifferente sulle scelte dell’attuale gestore. Nel senso che possa essere motivo di risoluzione del contratto. Se dovesse accadere, toccherà al Governo progettare il futuro di una fabbrica nuova e all’avanguardia».

La Corte ha disposto una provvisionale di centomila euro immediatamente esecutiva in favore del Comune. Sono destinati ai Tamburi?

«Si tratta di un gesto simbolico, direi quasi dovuto, verso il rione della città che ha scontato più degli altri una convivenza complicatissima con la grande industria. Anche perché sul tavolo ci sono già progetti finanziati con 20 milioni di euro per la bonifica e il rilancio del quartiere».

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