Gianrico Carofiglio: «Investigatori, giallisti o politici: l’importante è guardarsi attorno»

Gianrico Carofiglio: «Investigatori, giallisti o politici: l’importante è guardarsi attorno»
di Alessandra LUPO
5 Minuti di Lettura
Domenica 6 Agosto 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 10:11
Gianrico Carofiglio, iniziamo dall’Arte di guardarsi attorno, il monologo che sta portando in giro con successo. Da cosa nasce?
«Cercavo qualcosa di diverso e questo monologo mi ha offerto la possibilità di raccogliere alcune riflessioni su aspetti che riguardano lavori diversissimi tra loro e che associano chi indaga e il mestiere di chi scrive. L’attitudine, raffinata, del guardarsi attorno con attenzione è una di quelle cose che fanno un buon investigatore ma anche un valido scrittore. Ce ne sono diverse altre per la verità ma questa in qualche modo le riassume tutte: l’investigatore indaga nei luoghi in cui ci sono le tracce dei reati per vedere ciò che normalmente sfugge, per raccogliere le piccole increspature, le alterazioni di ritmo, quello che è oppure che manca. La capacità di guardare con attenzione e osservare senza pregiudizi le nostre intuizioni è fondamentale per chi investiga ma forse ancora di più per uno scrittore che non voglia dire cose banali».
Lo è anche per chi come lei ha fatto politica ad alti livelli? 
«Ovviamente sì, quanto dico guardarsi attorno il riferimento è a una percezione complessiva e attenta, al saper decifrare i bisogni delle persone. Tra cui ce n’è uno in particolare che spesso viene ignorato: la necessità della gente di sentirsi parlare in modo da comprendere quello che viene detto. Parlare per includere, per coinvolgere in un progetto implica la percezione dei destinatari e questa è una dote che talvolta manca anche a politici per altri aspetti capaci. Ovviamente diverso è parlare per manipolare. La buona politica invece dovrebbe cogliere i bisogni e filtrarli in un discorso accessibile».
I suoi personaggi hanno in qualche modo sublimato la sua carriera da magistrato, ma nel tempo lei è passato dalle avventure dell’avvocato Guerrieri, profondo e combattuto, al maresciallo Fenoglio - a tratti forse più rassicurante - fino alla tormentatissima Penelope Spada. Un’evoluzione ampia.
«Mark Twain diceva “Io ammiro molto gli scrittori che sono capaci di scrivere due romanzi contemporaneamente, il primo e l’ultimo”. Ed era un modo per dire che molti scrittori, anche di qualità, non fanno altro che scrivere un grande romanzo e poi continuare a riscriverlo in modo diverso. Forse la percezione di questo pericolo mi spinge a cercare cambi di inquadratura sul mondo».
Quanto conta il feedback dei lettori?
«Fa parte del guardarsi attorno. Dare al pubblico ciò che vuole non è mai una buona idea ma lo è senz’altro capire di cosa è necessario parlare in quel momento».
I suoi lettori hanno imparato i gusti ma anche le ossessioni dei suoi personaggi. Lei scrive anche saggi e testi teatrali. Ma il giallo resta a suo avviso un modo per scandagliare l’animo umano in maniera laterale?
«Alcune griglie e stilemi riconoscibili riducono in certi momenti la fatica della lettura e sono di certo un aiuto per andare su altre cose. Alcuni anni fa dicevo che il genere è un espediente per dire al lettore ciò che voglio. A pensarci ora mi sembra una frase pretenziosa. La verità è che mi piace raccontare storie avvincenti che possono lasciare, se maneggiate bene, spazi ampi per parlare di altre cose. È come prendere un oggetto industriale anonimo e intervenirci in maniera artigianale e artistica».
Lei è figlio d’arte, sua madre era la scrittrice Enza Buono. C’è qualcosa che ha assorbito da lei anche indirettamente?
«Oltre all’amore per i libri e all’idea che siamo un pezzo inevitabile del panorama interiore e fisico di una casa, idea che apparteneva anche mio padre, una cosa che ho capito abbastanza di recente è che mamma aveva una capacità di osservazione che io da ragazzo guardavo con sufficienza. Ma ripensandoci dopo ho dovuto riconoscere che aveva ragione. La scrittura, come stile, era molto diversa ma l’aspetto dell’osservazione mi piace pensare che ci accomuni»
Oggi in un Tweet parlava della paura come molla per scrivere, ieri di povertà citando Olof Palme. La divertono i social?
«A volte li uso come esperimento sociale, scatenano uno sciame di imbecilli: qualcuno ha commentato “Voi di sinistra finalmente avete tolto la maschera perché siete contro i poveri”».
L’uscita di Fassino ha reso il terreno un po’ scivoloso su questo tema...
«Diciamo che c’era qualche problema di opportunità. Nel merito Fassino ha ragione, in una democrazia sana è sacrosanto che chi va a fare il parlamentare venga retribuito in maniera adeguata ma ha sbagliato tono e atteggiamento. A proposito di capacità di guardarsi attorno». 
E sulla paura?
«Rispondevo a una frase di Orwell ma in generale ogni prodotto letterario parte dalle nostre zone d’ombra, a nessuno interessano le vite perfette. Inoltre scrivere un romanzo fa paura perché ci si trova i fronte alla necessità di inventare un modo».
Lei ha detto che il muscolo della scrittura va allenato e anche nei suoi libri si rintraccia spesso una pigra ricerca di disciplina da parte dei personaggi, lei ha fatto karate sin da bambino. Lo pratica ancora?
«Sì, certo. In generale io prendo parecchio dalle arti marziali e dalla cultura giapponese di cui apprezzo la linearità e l’eliminazione del superfluo. L’essenzialità dei movimenti e quella del racconto sono cose che mi riguardano».
Anche quello della politica attiva è un muscolo che va allenato? 
«La mia idea è che il muscolo della partecipazione e del senso civile vada allenato. Quello della pratica politica attiva e del ricoprire dei ruoli di potere a volte sarebbe bene si riposasse».
Che succederà nel centrosinistra pugliese da qui alle Regionali? Prevede un nuovo ciclo?
«Non me ne interesso direttamente ma la sensazione è che un ciclo si stia esaurendo e che si faccia fatica a vedere dove e come comincia il nuovo c’è. Per un concorso di fattori: anzitutto l’interpretazione della politica molto diversa e poi qualche problema di personalità legato alle carriere personali. Posto che non c’è niente di male nelle carriere personali, non dovrebbero a mio avviso diventare discriminanti nelle scelte».
Quanto il Pd pugliese è a suo avviso inserito nel nuovo corso del partito nazionale?
«In Puglia ci sono dinamiche territoriali che in parte sfuggono a questo passaggio ma il nuovo corso del Pd nazionale dobbiamo ancora capire quale sarà e lo dice uno che ha votato Schlein alle primarie e che quindi le è tutt’altro che ostile. Ma, a parte la battaglia giusta del salario minimo, non ci sono stati ancora aspetti da cui capire se c’è o meno un nuovo corso».
A proposito di Puglia, che pensa della polemica sui costi che imperversa da giorni sui giornali?
«Al di là delle polemiche, credo che ci siano aspetti che hanno a che fare con il messaggio che si lancia. Il tema della povertà in questo momento non andrebbe a mio avviso eccessivamente stuzzicato perché c’è un problema di riequilibrio delle disuguaglianze più in generale che resta irrisolto».
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