Carofiglio: «Tra profumi e sapori
il filo dei ricordi»

Francesco Carofiglio
Francesco Carofiglio
di Claudia PRESICCE
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Sabato 22 Marzo 2014, 13:29 - Ultimo aggiornamento: 13:35
LECCE - Ci sono profumi che all’improvviso ci ripresentano un’immagine, sapori che ci proiettano laddove sono stati quotidianit, oppure suoni, “torrenti dei quali distingui lo scroscio come il suono delle voci domestiche” come diceva Manzoni… È intorno a fotogrammi di memorie come questi che Francesco e Gianrico Carofiglio hanno costruito “La casa nel bosco” (Rizzoli) l’ultima fatica letteraria di questi stakanovisti fratelli baresi (architetto il primo e magistrato il secondo). In questo romanzo hanno raccontato il mondo intorno alla casa di campagna immersa nel bosco in cui hanno scorrazzato nelle stagioni più belle della loro fanciullezza.



«È nato in modo casuale - spiega Francesco - l’idea, non collegabile alla forma attuale del romanzo, era di fare una cosa a quattro mani. Chiacchierando poi è venuto fuori un percorso partito dalla memoria olfattiva dell’adolescenza e dell’infanzia che ha originato molti spunti della narrazione finiti nel romanzo. La storia però è nata incidentalmente per la dismissione della nostra casa di campagna avvenuta davvero, non nella fantasia. Ci sono episodi legittimamente romanzati, perché altrimenti i protagonisti ci inseguirebbero con i forconi, però è tutto molto verosimile seppur filtrato dalla licenza della narrazione».

La casa è in Puglia…

«È nel bosco di Mercadante, proprio dove è collocata nel racconto. Quando noi ci andavamo da bambini era una delle poche case presenti, poi c’è stata una grande infiorescenza di borghi e di agglomerati che hanno reso quel posto meno appetibile di quanto fosse allora. Era invece una delle case privilegiate perché aveva l’accesso alla foresta ed eravamo in diretto contatto con questa foresta misteriosa».

Nel libro ci sono anche ricette di piatti di quelle vacanze. Ma la cucina qui, più che come passione, è utilizzata perché buon conduttore di ricordi.

«Esattamente, è proprio un filo rosso che trascina e fa da vettore ad una memoria apparentemente comune, ma in realtà generata dai nostri ricordi differenti di quando eravamo ragazzini. Spesso i ricordi sono legati al cibo, agli odori, ai sapori, tutti detonatori potenti della memoria».

Che cosa succede quando la realtà, ricordi come questi entrano nella letteratura? Viene modulato uno schema narrativo intorno ad essi, oppure è il contrario?

«Bella domanda. Si genera un impasto in realtà. Credo che funzioni con una concatenazione tra impulso del ricordo e narrazione che genera il ricordo. Calvino parlava di “memoria generata” e mi piace molto. Mi piace pensare che alcuni dei nostri ricordi siano frutto della fantasia, di bambini o adulti, e questo non toglie nulla al loro fascino. Ricordo e narrazione si inseguono».

Che cosa c’è dietro questa scrittura a quattro mani? Anche se avete già lavorato insieme altrove, qui c’è un lavoro più intimo... È stata più faticosa o liberatoria come esperienza?

«Certo, è una forma nuova perché abbiamo lavorato al graphic novel o a sceneggiature cinematografiche… È stato faticoso per la fatica che deriva dal confronto necessario, ma è stata anche un’autentica sorpresa. Cioè, il meccanismo intorno al quale è costruita la narrazione, quel concatenarsi di ricordi come link che si inseguono, ha determinato scoperte di fatti di ciascuno nei ricordi dell’altro che invece nella nostra memoria erano sotterrate. È stata come un passaggio di formazione questa scrittura».

Lei vive lontano dalla Puglia, come suo fratello. C’è qualcosa che porta con sé della nostra regione? Qualcosa ad esempio che non deve mancare sulla sua tavola…

«La Puglia mi dovrebbe riconoscere qualche onorificenza per tutta la pubblicità spudorata che le faccio sempre (!), per la bellezza paesaggistica, l’arte, la cultura, l’architettura, la bellezza dei luoghi e anche ai sapori. Questi sono ormai considerati tra i più appetibili in Italia, ma direi a livello internazionale, perché mettono insieme la bontà della materia prima con consolidate tradizioni di preparazione. Sono diventati piatti internazionali attraverso la manipolazione che grandi chef ne hanno fatto, basti pensare a “fave e cicorie” declinate in forme molto differenti o alle orecchiette con le cime di rape. In pratica modulando un ingrediente in maniera differente, o aggiungendone un altro, quel piatto prende una nuova forma, però la sostanza resta sempre quella che decisamente significa Puglia».


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