Il personaggio/Emiliano, da "sceriffo" a sindaco di tutti per rompere i ponti col passato

Il personaggio/Emiliano, da "sceriffo" a sindaco di tutti per rompere i ponti col passato
di Francesco G. GIOFFREDI
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Lunedì 1 Giugno 2015, 13:07 - Ultimo aggiornamento: 22 Dicembre, 21:55
C’era un tempo in cui tesi e antitesi erano sintesi, e quel tempo si chiamava “Primavera Pugliese”. Ora invece l’uomo dell’antitesi ha scortato in porto il suo vascello e coronato la missione: impossessarsi dello scranno più alto di Puglia, detronizzando il titolare della tesi. Lo ha fatto con una successione non proprio dolce, sabotando il palazzo, stritolando nell’angolo della storia il predecessore. È una rincorsa lunga undici anni, quella di Michele Emiliano. L’idea di governare la Puglia prima-durante-dopo l’avvento del narratore Nichi Vendola (che è stato appunto tesi della “Primavera Pugliese”, e cioè il romantico rinascimento della nuova sinistra) gli pulsava in testa da tempo, di certo dal 2009, anno della rielezione a sindaco di Bari, o forse addirittura dal 2004, quando da pm antimafia sconquassò la scena pubblica barese, scardinando a spallate un municipio-roccaforte della destra, coagulando attorno a sé la coalizione dopo la benedizione della nomenclatura dalemiana. E ribaltò il paradigma, nella città della elitaria e felpata école barisienne: la sinistra di Emiliano scippa una parte della cassetta degli attrezzi del berlusconismo, con sfumature mediatiche, popolari, a tratti populiste, vulcaniche, inclusive, ma anche muscolari, decisioniste, pragmatiche, «tolleranza zero alla Rudolph Giuliani e tolleranza mille da porto delle tante etnie» scrisse Francesco Merlo un bel po’ di anni fa affrescando la Bari di Emiliano. Sindaco sceriffo, si decretò: erano gli anni del fermento degli amministratori meridionali dal polso fermo, uomini - tutto insieme - motore, benzina, cinghia di trasmissione e ovviamente timonieri di macchine amministrative spesso troppo incerottate, arrugginite.



La corsa. Oggi Emiliano è presidente della Regione. Anzi: “sindaco di Puglia”, slogan che marchia a fuoco un crisma, perché ogni primadonna è ossessionata da un retaggio, e “Michele il gladiatore” non riesce a scrollarsi di dosso - anzi: se lo tiene ben stretto - l’approccio volitivo e concreto, la rottura degli schemi, il contatto epidermico e ruspante col popolo, il dialetto e il basket, i baci e gli abbracci, le lacrime e il sudore perché con Michele la leadership è fisicità dirompente, i modi spicci da amministratore di quartiere che sfoggia con malcelata voluttà tanto la baresità più verace, quanto l’allure da poliziotto buono e inflessibile. Giocando sull’equivoco genetico: «Io non sono un politico di professione», concetto tuonato a più riprese per marcare la distanza tra “lui”, il tribuno del popolo, e “loro”, gli oscuri travet della grigia, pachidermica trafila partitica. «I politici non sono tutti uguali» è non a caso il minaccioso monito effigiato persino sulla fiancata del Suv nero col quale ha divorato chilometri per la Puglia, come un maratoneta. «A Bari - ha snocciolato di recente, durante una delle sue “sagre del programma” - la sinistra era la quintessenza della noblesse oblige: bravissimi nell’organizzare convegni, nell’indossare capi di cashmere, e perdevano le elezioni tutte le volte!». Grillismo ante litteram e storytelling renziano shakerato e servito caldo, tanto che Emiliano strizza di continuo l’occhio ai pentastellati e saccheggia metodi e immaginario del premier. Anche se il rapporto col leader nazionale Pd è stato ondivago, ormai quasi del tutto sfilacciato: tensioni, promesse tradite, gelo.



Le strategie. Ma dipingere Emiliano come “pre-politico” è un inganno prospettico, benché lui voglia proprio questo: Michele da Bari è un politico tout court, lucido e ambizioso, nonostante una grammatica pubblica solo apparentemente rabberciata, improvvisata, da gaffeur di successo. Gli anni della marginalizzazione nel Pd pugliese e nel centrosinistra vendoliano lo hanno temprato, e tutto sommato non dev’essergli dispiaciuto (anzi) sparare cannonate stando a riva mentre in mare aperto il suo partito e la coalizione erano ciclicamente schiaffeggiati dalla tempesta. Anni di ostinata opposizione interna, veltroniano, dalemiano, bersaniano, renziano e poi sempre il contrario di tutto e apostrofando tutti, rivendicando un curriculum immacolato di fallimenti politici: «Io non c’entro niente, sono solo il sindaco di Bari». Spietato, ha fatto rosolare per bene Vendola e logorare generazioni di quadri dirigenti Pd, per cavalcare poi nella prateria quasi desertificata. Un anno fa, del resto, è (ri)diventato segretario regionale del Pd per consunzione collettiva: i dalemiani sfarinati in minoranza a tratti pulviscolare (chi l’avrebbe mai detto, in Puglia), la nouvelle vague renziana incapace di far squadra monolitica tanto a Bari quanto a Roma, dove Renzi e i suoi fedelissimi non gli hanno mai risparmiato critiche e diffidenza a denti stretti. Il congresso regionale fu un’autostrada sgombra e liscia come un panno da biliardo: unico candidato alla segreteria, roba mai vista. Tradotto: Emiliano raccolse e abbracciò tutti, dalemiani e renziani, giovani e vecchi, riempiendo un vuoto con la sua stazza. Un primo esperimento di “bulimia politica”, poi sciorinata su altri palcoscenici. Le primarie di centrosinistra dello scorso novembre, per esempio: vinte a vele spiegate, e calamitando da subito i centristi, su Dario Stefàno e Guglielmo Minervini, Sel il primo e Pd il secondo, ma entrambi griffati da quello stigma invece assente in Emiliano. E cioè il vendolismo, la continuità col governo della “Puglia migliore”.



Anti-Vendola. Per calcolo (arduo vincere senza rompere col passato) e per convinzione (la narrazione vendoliana è antropologicamente inapplicabile a Emiliano), il neo-governatore ha sempre incendiato la scena prendendo a sassate l’ultimo decennio, nonostante l’ovvio e obbligato tributo ai traguardi tagliati. Un assaggio? Eccolo: «Per 10 anni la Regione non ha avuto un programma, ma solo due bellissimi discorsi. Finora bisognava andarci come dal sovrano per ottenere l’indulgenza, noi invece costruiremo il programma dal basso». È stato questo l’urlo di battaglia di una campagna elettorale cuore-pancia-testa. Ha risucchiato nella sua fornace tutti, Emiliano: pezzi di destra, strati di centro, quasi tutta la sinistra. Impastando gli ingredienti col suo cemento: programma e leadership, ché le vecchie categorie politiche sono ormai implose e sbiadite. Un sincretismo che, lo hanno accusato, degrada il dna di sinistra spostando l’asse verso destra. Ma poiché è un sagace funambolo, Michele da Bari ha attinto nientemeno che da Antonio Gramsci: «Sarò un intellettuale collettivo che traduce le intuizioni raccolte dal basso». Un modo per scaricare la pistola alle critiche di sinistra, silenziare la prevedibile accusa di leaderismo carismatico e - soffiando forte sul fuoco della partecipazione - irrompere nel campo dei Cinque Stelle. La faticaccia delle “sagre del programma” è stata tutto questo: defibrillatore sulla base elettorale, disintermediazione, e guardia alta in una campagna elettorale data per vinta da troppi e troppo presto. Con l’ormai canonico ecumenismo a far da bussola, «perché io ho sempre vinto le elezioni grazie alla destra», sbandierando un miracolistico potere di conversione del prossimo, anche del più irriducibile post-fascista. È l’antitesi-Emiliano che innesta la freccia, sorpassa la tesi vendoliana e la disperde nello specchietto, dopo aver sotto-sotto sofferto un certo complesso d’inferiorità verso Nichi.



Il futuro. La stella sempre lucente di Emiliano (piace, e tanto, ai salotti tv nazionali) si offuscò solo per un frangente, tre anni fa: dall’inchiesta sugli appalti baresi spuntò la vasca zeppa di pesce e cozze, doni degli imprenditori Degennaro all’allora sindaco (non indagato). Imbarazzo, per chi dell’onestà ha sempre fatto un vessillo. Scomparve per un po’, Michele: capo chino, profilo basso, tweet centellinati e pacati, lui che oggi si definisce «sempre connesso con i pugliesi col suo inseparabile smartphone», maneggiato con fare compulsivo. Forse a consigliarlo furono i rodati spin doctor di Proforma, l’agenzia che ha plasmato claim e immagine anche di Vendola e ora di Renzi. Pop, social, post-ideologico, ma nel caso di Emiliano anche ciò che sembra zampillare spontaneo e disordinato c’è sempre il sospetto che sia studiato da un’equipe mediaticamente scafata. O forse è soltanto la piattaforma di una nuova sfida, già vagheggiata: dopo una, due, tre, cento cannonate contro Renzi, cucirsi l’abito dell’antagonista nazionale del premier toscano. Perché Emiliano è irrequieta antitesi allo stato puro.
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