Caporalato, cinque arresti e 16 indagati. Sotto inchiesta anche la moglie del Capo Immigrazione del Viminale: lui si dimette/le intercettazioni

Caporalato, cinque arresti e 16 indagati. Sotto inchiesta anche la moglie del Capo Immigrazione del Viminale: lui si dimette/le intercettazioni
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Venerdì 10 Dicembre 2021, 11:14 - Ultimo aggiornamento: 20:20

Un bracciante chiede «quant'è la paga?» e il caporale risponde che il pagamento non sarà all'ora ma a «giornata» e pari a 35 euro al giorno per 6 ore una somma che risulta «palesemente difforme alle tabelle del contratto collettivo nazionale che preveda una somma netta di euro 50.05 per 6.30 di lavoro». È quanto emerge da un'intercettazione tra un bracciante e il caporale riportata nell'ordinanza di applicazione di misure cautelari del gip di Foggia. Bakarv Saidy, gambiano, considerato il caporale, secondo quanto si legge nel provvedimento, «si faceva pagare 5 euro da ogni bracciante per l'attività di intermediazione» con le aziende agricole.

Ma c'è anche la moglie del capo del Dipartimento per le libertà civili e immigrazione del Viminale, Michele di Bari, tra le 16 persone indagate in un'inchiesta per caporalato dei carabinieri e della procura di Foggia che ha portato all'arresto di cinque persone, due delle quali in carcere.  L'accusa ipotizzata è a vario titolo di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Intanto questa mattina di Bari ha rassegnato le dimissioni

L'operazione: sotto i riflettori dieci aziende agricole del Foggiano

In carcere sono finiti due cittadini stranieri, un senegalese e un gambiano, mentre nei confronti degli altri tre arrestati da parte dei carabinieri sono stati disposti i domiciliari. Per gli altri 11 indagati, tra i quali appunto la moglie del prefetto Di Bari, è scattato l'obbligo di firma. L'indagine "Sotto padrone" che ha interessato attività comprese tra luglio e ottobre 2020, ha portato anche ad una verifica giudiziaria su oltre dieci aziende agricole riconducibili ad alcuni degli indagati. Ed è risultata socio amministratore di una delle dieci aziende coinvolte nell'indagine la moglie dell'ormai ex capo dipartimento Immigrazione del Viminale Michele di Bari. L'accusa ipotizzata per tutti è a vario titolo di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.

I braccianti sfruttati erano "residenti" a Borgo Mezzanone

Al vaglio degli inquirenti le condizioni di sfruttamento cui erano sottoposti numerosi braccianti extracomunitari provenienti dall'Africa impiegati a lavorare nelle campagne della Capitanata. I braccianti "risidevano" tutti a Borgo Mezzanone, nell'accampamento che ospita circa 2mila persone, che vivono in precarie condizioni igienico-sanitarie e in forte stato di bisogno. Secondo gli investigatori i due soggetti finiti in carcere erano "l'anello di congiunzione" tra i vertici delle varie aziende del settore agricolo della zona e gli stessi braccianti. Alle aziende che chiedevano forza lavoro i "caporali" rispondevano reclutando braccianti extracomunitari all'interno della baraccopoli. Non basta. Si incaricavano anche del servizio di "trasporto" sui luoghi di lavoro e della sorveglianza.

Le tariffe richieste per il servizio erano pari a 5 euro per ogni bracciante trasportato e altri 5 euro a persona quale compenso dell'attività di intermediazione. 

Giro d'affari da 5 milioni di euro

 «Caporali, titolari e soci delle aziende avevano messo in piedi un apparato quasi perfetto - sottolineano i carabinieri - che andava dall'individuazione della forza lavoro necessaria per la lavorazione dei campi, al reclutamento della stessa, fino al sistema di pagamento, risultato palesemente difforme rispetto alla retribuzione stabilita dal Ccnl, nonché dalla tabella paga per gli operai agricoli a tempo determinato della provincia di Foggia». Un giro d'affari da 5 milioni di euro all'anno, a conti fatti. E anche le buste paga sono risultate non veritiere, poiché nelle stesse venivano indicate un numero di giornate lavorative inferiore a quelle realmente prestate dai lavoratori, senza tener conto dei riposi e delle altre giornate di ferie spettanti. I lavoratori, tra l'altro, non venivano neanche sottoposti alla prevista visita medica.

La nota del Viminale: “Il Capo Dipartimento si è dimesso”

Il Capo Dipartimento per le Libertà Civili e l'Immigrazione del ministero dell'Interno, Michele di Bari "ha rassegnato le proprie dimissioni". È quanto rende noto il Viminale a seguito dell'inchiesta della procura di Foggia in cui è indagata la moglie per caporalato. Dimissioni accettate dal ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese. «In relazione alle notizie di stampa, desidero precisare che sono dispiaciuto moltissimo per mia moglie che ha sempre assunto comportamenti improntati al rispetto della legalità. Mia moglie, insieme a me, nutre completa fiducia nella magistratura ed è certa della sua totale estraneità ai fatti contestati» così il prefetto Michele di Bari.

Nell'azienda della moglie del Prefetto i lavoratori pagati 5.70 centesimi l'ora

Nell'azienda agricola in cui era socia amministratrice la moglie dell'ormai ex capo del Dipartimento Immigrazione del Viminale, i lavoratori venivano pagati 5.70 euro l'ora e non oltre i 35 euro, una somma "palesemente difforme" dalle tabelle del contratto nazionale che prevedono una paga netta di 50 euro per sei ore e mezza e nonostante una giornata lavorativa che non durava meno di 8 ore. È quanto scrive il gip di Foggia nell'ordinanza sul caporalato che ha portato all'arresto di 5 persone e in cui la donna è indagata. Nelle carte, Saidy - uno dei due caporali finiti in carcere - viene definito "intermediatore illecito e reclutatore, trasportatore e controllore della forza lavoro" mentre a gestire gli operai nei campi, almeno 6 quelli "sicuramente" impiegati e i cui nomi sono riportati nell'ordinanza, è Matteo Bisceglia. Il ruolo di Rosalba Livrerio Bisceglia, invece, era quello di "interfacciarsi" con Saidy "per concordare ed effettuare i pagamenti". Nel capo di imputazione il gip ricostruisce come venivano impiegati i braccianti nell'azienda: "in violazione dei contratti collettivi nazionali (o territoriali) e comunque in maniera gravemente sproporzionata rispetto alla qualità e quantità del lavoro prestato, in quanto i lavoratori venivano retribuiti con" 5.70 l'ora "a fronte di una giornata lavorativa di 8 ore», con il pagamento che avveniva «anche conteggiando il numero di cassoni raccolti". Non solo: nell'azienda veniva anche violata la normativa relativa all'orario di lavoro e ai periodi di riposo, tanto che non veniva riconosciuta ai lavoratori "la retribuzione per lo straordinario, le pause (salvo una breve per il pranzo) e senza consentire l'utilizzo di servizi igienici idonei". Inoltre, si legge ancora nelle carte, è stata violata la normativa in materia di sicurezza sul lavoro, in quanto i braccianti erano sprovvisti dei dispositivi di protezione degli infortuni.

Il Gip: «Rosalba Livrerio Bisceglia consapevole dello sfruttamento»

Rosalba Livrerio Bisceglia, moglie del prefetto Michele di Bari, "è consapevole delle modalità delle condotta di reclutamento e sfruttamento" scrive il Gip di Foggia. È emerso, si legge nell'ordinanza, "che la Livrerio Bisceglia ha impiegato per oltre un mese braccianti reclutati dal Saidy (il gambiano Bakary Saidy, uno dei due 'caporalì arrestati, ndr) al quale ella si è rivolta direttamente". La donna, aggiunge il magistrato, "è consapevole delle modalità delle condotta di reclutamento e sfruttamento, nella misura in cui si rivolge ad un soggetto, quale il Saidy, di cui non può non conoscersi il modus operandi". L'indagata, prosegue il documento, "dispone del numero di telefono del Saidy e chiama costui personalmente, si preoccupa, dopo i controlli, di compilare le buste paga, chiama Saidy e non i singoli braccianti per dirgli come e perché si vede costretta a pagare con modalità tracciabili e concorda, tramite Bisceglia Matteo (altro indagato, ndr), che l'importo della retribuzione sarà superiore a quella spettante e che Saidy potrà utilizzare la differenza per pagare un sesto operaio che, evidentemente, ha operato in nero". In particolare, viene rilevato, "i dialoghi sulle modalità di pagamento (successivi all'attività di controllo) costituiscono dati univoci del ruolo attivo dei Bisceglia nella condotta illecita di impiego ed utilizzazione della manodopera reclutata dal Saidy, in quanto rivelano una preoccupazione ed una attenzione per la regolarità dell'impiego della manodopera solo successiva ai controlli".

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