Alle 17 e 20 compare sullo schermo della sala stampa del Bureau International des Expositions la conta impietosa dei voti: 119 a Riad, 29 a Busan, 17 a Roma. Si chiude la corsa per l’Expo 2030 senza nemmeno il bisogno del ballottaggio. L’Expo va a Riad senza se e senza ma. Polverizzate anche le più rosee - o più nere, dipende naturalmente dalla città da cui si guarda - previsioni della vigilia: Riad prende più del 70 per cento dei voti, Roma solo terza. Il gruppo dei sauditi assiepati davanti al grande schermo esplode come a un gol della nazionale alla coppa del mondo. Abbracci e baci e poi intonano un inno tradizionale. «Le parole dicono che Riad fu scoperta, e divenne grande» spiegano agli spettatori romani e sudcoreani. La delegazione romana non nasconde né amarezza né delusione.
I sospetti
Difficile anche il fair play davanti alla vittoria schiacciante della candidata che ha condotto la campagna più aggressiva, a colpi nemmeno tanto velati di accordi o promesse di accordi economici e cooperazione in giro per il mondo, riuscendo a convincere il pur europeo Macron.
«Noi abbiamo giocato secondo le regole della comunità internazionale - ha detto l’ambasciatore Giampiero Massolo, presidente del comitato promotore».
L’opa saudita
I sauditi hanno optato per la tecnologia, lungo la stretta avenue Victor Cresson emergono palme di plastica multicolore (si direbbero i colori dell’arcobaleno Lgbt, ma l’interpretazione pare azzardata) e una serie di camionette tappezzate con schermi led. A un certo punto il segretario generale Kerkentzes è addirittura costretto a intervenire per far sgombrare la hall del Bie dai non accreditati, per evitare “assalti” dell’ultimo minuto ai delegati che affluiscono dalle auto scure. Gli addetti della sicurezza sembrano presi un po’ alla sprovvista, gli impiegati all’ingresso ammettono di aver raramente visto tali tumulti a un voto dell’Assemblea Generale.
Gli ultimi appelli
L’intera organizzazione sembra essere più in mano ai sauditi che ai francesi del Bie, gestiscono gli ingressi, entrano in massa nella sala dell’Assemblea Generale. Ce la mettono comunque tutta le tre donne testimonial dell’ultimo appello per Roma 2030, Trudie Styler in Sting, che racconta i suoi oltre 40 anni di amore per l’Italia («bussi e ti aprono sempre la porta»), poi emozionatissima Sabrina Impacciatore, che recita una poesia di Erri de Luca e infine l’entusiasmo totale di Bebe Vio, che chiama sul palco tutta la squadra che ha lavorato in questi tre anni. Con un video dice un’ultima parola anche la premier Giorgia Meloni, esalta «Roma, prima megalopoli della storia» un’expo «in cui ogni nazione troverà il suo spazio» e un progetto che prevede «il più grande parco urbano solare mai costruito». Ma soprattutto resterà il breve messaggio del nostro Jannik Sinner, reduce dalla Davis, parla dalla sua camera, armadio in un angolo: «Non rinuncio mai, qualsiasi sia il risultato di una partita».