Coraggio e fiducia, può essere l'anno della svolta

Coraggio e fiducia, può essere l'anno della svolta
Coraggio e fiducia, può essere l'anno della svolta
di Claudio SCAMARDELLA
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Venerdì 31 Dicembre 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 11:30

Chiudiamo gli occhi e proviamo a fare un salto in avanti di dodici mesi. Oggi il calendario segna 31 dicembre 2022. Dai titoli delle prime pagine di giornali e Tg sono finalmente scomparsi i bollettini su contagi, ricoveri, terapie intensive, tassi di positività e decessi per Covid; nelle case, nei ristoranti, nelle discoteche, negli alberghi e nelle piazze ci si prepara per il veglione come da molto tempo non accadeva, senza limitazioni nel numero degli invitati, senza mascherine, senza necessità di tenere lontani nonni e nipoti, senza aver sprecato la vigilia con ore di fila per ottenere il tampone lasciapassare anche se vaccinati con quarta o quinta dose; abbracci, strette di mano e baci sono tornati tra noi; non sono previste riunioni urgenti del Cts, delle cabine di regia e del Consiglio dei ministri con la connessa ansia nell’attesa di nuove misure restrittive. Lo stato d’emergenza è finito, prorogato di un solo mese, fino al 30 aprile, per garantire un ordinato ritorno alla normalità dopo la giungla di circolari, decreti legge, Dpcm e linee guida. Con esso è svanito anche l’incubo di quello “stato d’eccezione” che reca con sé il rischio di diventare “regola” e di trasformare le democrazie in autocrazie, limitando per sempre diritti, libertà e procedure costituzionali. Dall’inizio dell’estate, finalmente, virologi ed epidemiologi sono diventati una specie in via di estinzione nei talk show televisivi, e con loro sono evaporati anche i sovradimensionati rappresentanti dei no vax e i visionari di complotti, per disgrazia dei conduttori acchiappa-audience e per fortuna di noi telespettatori.

L’Italia ha un nuovo presidente della Repubblica, la cui elezione non ha provocato scossoni istituzionali, né il ripetersi di anomalie tali da lacerare ulteriormente la carta costituzionale, e nemmeno una fine anticipata della legislatura, irresponsabile quanto pericolosa per i molti dossier aperti, da seguire ogni giorno per non far rallentare il treno della ripartenza. I partiti, contrariamente alle previsioni fino a poche ore prima dell’elezione del nuovo inquilino del Quirinale, sono riusciti in extremis a evitare la “frittata”, quella di perdere in un solo colpo tutte e due le personalità che hanno guidato con autorevolezza l’Italia nella fase della pandemia, riscattandone l’immagine in tutto il mondo e proiettandola a modello di buon governo. Vero, guai per quei Paesi che hanno bisogno di affidarsi alla capacità taumaturgiche del singolo, ma nell’assenza prolungata di una classe dirigente diffusa e autorevole, molto meglio ricorrere a personalità e riserve della Repubblica che hanno già dato buona prova di sé e robuste garanzie democratiche.

La tregua tra i partiti, seppur tra le inevitabili tensioni create dalla ricerca di visibilità dell’anno preelettorale, regge ancora a fine 2022. L’imminente prospettiva del voto politico, in primavera, appare meno gravida di conseguenze grazie allo sgonfiamento del grande bluff dei “portavoce del popolo”, costretti ormai da tempo a scodinzolare in quei palazzi romani - che nelle loro intenzioni dovevano essere aperti come le scatolette di tonno - in cerca di nuovi padroni per assicurarsi ricandidatura e rielezione. Incompetenza e improvvisazione al potere sono tornati a essere disvalori dopo la sbornia dell’uno vale uno e del vagheggiamento della democrazia diretta. Non solo. Il sussulto che ha avuto l’Europa al tempo del Covid ha prosciugato il brodo di coltura di vecchi e nuovi sovranismi, l’ancoraggio all’Unione e all’euro è fuori discussione. E la stagione dell’unità nazionale, nonostante gli alti e bassi, ha avuto anche il merito del reciproco riconoscimento di ruoli tra i due principali schieramenti e i loro leader: chi uscirà sconfitto dal voto non potrà non riconoscere la legittimità dei vincitori a governare.

Nel suo primo discorso di fine anno, il presidente o la presidente della Repubblica dedica pochi secondi alla pandemia, come emergenza in via di esaurimento, e si sofferma invece sulle nuove e ottime performance dell’economia italiana, diventata la locomotiva d’Europa che trascina anche il Mezzogiorno nella ripartenza, grazie al raggiungimento - per il secondo anno - di tutti gli obiettivi programmati per le sei missioni del Pnrr, assicurandosi così l’arrivo della nuova tranche dei finanziamenti europei.

Con una novità sostanziale rispetto al primo anno, soprattutto al Sud: i fondi non saranno più spesi per realizzare o completare i cosiddetti “progetti sponda”, quelli già redatti e finanziati con procedure ordinarie (una autentica beffa), ma opere, servizi, infrastrutture materiali e immateriali del tutto nuove. Fondi aggiuntivi, insomma, e non sostitutivi per coprire le incapacità progettuali degli enti locali, soprattutto meridionali. A poche ore dall’entrata del 2023, ricostruendo i dodici mesi appena passati, ci si accorge anche che il circuito virtuoso innescato dal Pnrr ha smosso finalmente le Zes, diventate operative seppure con molti anni di colpevoli ritardi, e ha dato una spinta al completamento di opere rimaste nel guado e intrappolate nella melassa della burocrazia (una per tutte la statale “275”).

Nella conferenza stampa di fine anno, anche il ministro della Transizione ecologica snocciola dati finalmente incoraggianti per le tappe previste dal (lungo) processo di decarbonizzazione, grazie a una decisa accelerata negli ultimi mesi sulle energie rinnovabili e al definitivo isolamento di demagoghi e neopopulisti di provincia in cerca di consensi, quelli del “no” a tutto: contrari a carbone, petrolio, gas e nucleare, ma anche all’eolico (terrestre e marino) e al fotovoltaico in caso di impianti nel proprio territorio, ovviamente senza mai rinunciare a uno solo dei servizi alimentati da energie “sporche” o “pulite”, ma sempre pronti a gridare allo scandalo per l’impennata delle bollette energetiche, per il balzo dei costi di produzione e l’aumento dei prezzi al dettaglio. Nello stesso giorno, a Bari, l’assessore regionale all’Ambiente illustra il report annuale del piano rifiuti con l’avvio o la realizzazione dei primi impianti di smaltimento nelle province pugliesi, con buona pace di quanti aizzavano le comunità contro le discariche, contro gli inceneritori, perfino contro gli impianti di compostaggio se previsti nel “proprio giardino”, considerando i rifiuti non una risorsa ma una zavorra di cui liberarsi, anche al costo di esportarli pagando prezzi altissimi.

Potrebbe bastare? Certo, potrebbe perfino avanzare se aggiungessimo - per noi che viviamo in Puglia - anche un netto e reale miglioramento nella connessione digitale, un piano credibile di contrasto alla xylella e di riforestazione delle aree già devastate dal batterio, una programmazione della stagione turistica estiva, con la nomina tempestiva del nuovo assessore (siamo già in ritardo), che scongiuri le scene caotiche delle ultime estati, a dispetto dell’immagine glamour e patinata delle località di villeggiatura. Ma per noi che viviamo in Puglia sarebbe un bilancio ancora più soddisfacente se, subito dopo l’apertura dell’inchiesta sulla Protezione civile, pur rispettando il sacrosanto principio della presunzione d’innocenza, gli amministratori regionali fossero stati in grado di garantire una maggiore accortezza, vigilanza e trasparenza nella scelta degli uomini chiamati a gestire (tante) risorse e (tanti) appalti, soprattutto nella sanità, facendo prevalere più la competenza che l’appartenenza, più l’onestà che la vicinanza. Scelte, insomma, non dettate dai “cerchietti magici” e dai riconoscimenti ai protagonisti di quel fenomeno definito in modo truffaldino “civismo politico”, dietro cui si nasconde - sotto le mentite spoglie delle cosiddette liste civiche - una delle più colossali operazioni di trasformismo e transumanza mai viste nella storia italiana.
Ora riapriamo gli occhi. Purtroppo, il calendario segna ancora 31 dicembre 2021. L’anno che verrà è tutto da costruire. Eppure, molte delle cose che vorremmo accadessero, possono davvero accadere. Perché in larga parte dipendono da noi, da ognuno di noi. Certo, le traiettorie della storia sono talvolta imprevedibili. Ma ricordiamoci sempre che la storia, come ci hanno insegnato, siamo noi.
 

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