L'Afghanistan e il ritiro sconsiderato di truppe: l'accoglienza non deve far dimenticare i doveri verso i diritti umani

di Fabiano AMATI
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Venerdì 20 Agosto 2021, 05:00

Venticinque anni fa i talebani entrarono a Kabul e assicurarono il mondo: “Non ci vendicheremo”. Passò appena qualche ora e si seppe che il presidente deposto Mohammad Najibullah era stato ucciso e appeso a un lampione, dopo averlo castrato. Certo, è vero che Najibullah, l’ultimo presidente filo-sovietico, era chiamato non senza merito il “macellaio di Kabul”, perché nel suo palmares dell’orrore poteva annoverare l’uccisione con la sua stessa pistola di centinaia di mujaheddin, na ciò non autorizza a pensare che il trattamento finale riservatogli potè dirsi privo di sentimenti vendicativi.

Sono passati 25 anni e ci risiamo. I talebani sono rientrati a Kabul e anche questa volta assicurano: “Siamo cambiati, non ci vendicheremo”. E giù i soliti commenti degli “italiban”, così opportunamente descritti da Francesco Merlo su “Repubblica”, cioè i signori che non stanno né con gli uni né con gli altri “che è il modo più subdolo per stare con i talebani”, pronti a garantire sulla serietà dell’impegno. Hai visto mai? Macché. Pure questa volta non è stato così e i talebani dopo appena qualche ora hanno svelato il vero volto violento, con spari a raffica sui raduni di protesta di Jalalabad e Asadabas, facendo qualche morto.

Le parole a vuoto

Rischiamo di restare ancora una volta intorpiditi. Affoghiamo nella più inane dissipazione di parole, messa in scena con la pretesa di dire molto per non dire nulla, così da alimentare o il pregiudizio anti-americano oppure le più comode inerzie.

Ma l’Afghanistan siamo noi e non tanto per la retorica dell’appartenenza alla famiglia umana, ma perché non è esagerato dire che è in gioco il futuro dell’Occidente, cioè il nostro.

Nessuna persona ragionevole può credere nei talebani buoni, perché la legge che applicavano venti anni fa e che purtroppo intendono applicare anche oggi, la sharia, non ha proprio nulla di buono ed è invece una somma di disposizioni tragiche e incivili. A cominciare da quelle che puntano a cancellare dalla terra, come ha scritto meravigliosamente Adriano Sofri, “le due cose più preziose, la musica e la faccia delle donne”.

Il ritiro, decisione sconsiderata

Certo, va benissimo l’accoglienza dei profughi, ma questo gesto umanitario non è né il centro della questione né l’alternativa alla decisione di mantenere o riportare i soldati in Afghanistan e al più presto, magari un po’ prima di essere costretti a farlo facendosi strada con lancio di bombe e magari quando ancora una volta dovremo prendere atto che quel regime si rende ospitale ai nuovi Osama Bin Laden o a chiunque voglia attaccarci e annientarci.
Abbiamo subito una decisione sconsiderata di ritiro delle truppe promossa dagli Stati Uniti che a ben vedere ha anche del paradossale.

In Italia ci sono attualmente circa 12.000 soldati americani e la loro presenza ininterrotta risale al 1943, nonostante nel nostro paese non ci siano pericoli per la democrazia e la libertà.

In Afghanistan, invece, un paese nel quale sono a rischio libertà, uguaglianza, diritti, umanità e la sorte dell’intero Occidente, si ritirano 2.500 soldati, cioè meno del corpo di Polizia locale di Milano (3.000 agenti), favorendo la folle crudeltà propagandata in nome di Dio.

Gli Stati Uniti o l’Occidente buoni sono quelli che restano sul campo quando i diritti umani e la libertà latitano e non quelli che tornano a casa assecondando nazionalismi militari e rendendo vano il sacrificio di centinaia di caduti in nome della causa che si sta abbandonando, come se la pace fosse un problema circoscritto ai confini nazionali, cioè a chilometro zero.

Il dovere per i diritti umani

“Esportare” la democrazia e i diritti umani è un dovere, in Afghanistan e in tutti i paesi canaglia del mondo. È invece un delitto non farlo o girare la testa dall’altra parte. La presenza sui luoghi in cui il problema si genera al costo di sangue innocente, oppure dove la conquista della libertà avviene morendo, per esempio aggrappandosi al carrello di un aereo in decollo o lanciando i bimbi oltre il filo spinato, non può essere sostituita dall’impegno limitato all’accoglienza dei profughi, cioè incentrato sulle più ovvie buone intenzioni e peraltro nella migliore tradizione greco-giudaico-cristiana che i talebani vorrebbero abbattere.

Occuparsi al meglio e giustamente degli effetti, i profughi, alzando mani e chiudendo occhi sulle cause, il regime sanguinario e le sue violenze, è certamente una strada percorribile, ma decisamente punk e pure suicida. 

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