Dacca, dalla moda ai macchinari, gli affari dell’Italia nella capitale del Bangladesh

Dacca, dalla moda ai macchinari, gli affari dell’Italia nella capitale del Bangladesh
di Michele Di Branco
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Domenica 3 Luglio 2016, 00:17
Gli investimenti italiani in Bangladesh sono di ammontare «piuttosto modesto», annota la Farnesina sul suo sito ufficiale. Ma in quel contesto caldissimo la nostra industria è ben radicata: le esportazioni hanno raggiunto quota 320 milioni di euro nel 2014, il 60% delle quali rappresentate dalla meccanica strumentale. Di quel Paese così tribolato attraggono soprattutto alcune aree nelle quali è possibile produrre godendo di agevolazioni di carattere fiscale, finanziario e normativo.

GLI INVESTIMENTI
Tuttavia, secondo le stime dell’ufficio studi di Sace, attraverso un miglior presidio di questo mercato, le nostre imprese potrebbero guadagnare circa 126 milioni di euro di esportazioni aggiuntive entro il 2018. Ma le opportunità di sviluppo sono frenate da infrastrutture molto carenti. Le vie di comunicazione stradale e ferroviaria sono arretrate e l’approvvigionamento energetico, sia elettrico che idrico, è così critico da compromettere il normale svolgimento delle attività. Negli ultimi anni, le aziende italiane hanno irrobustito la loro presenza soprattutto nella moda, ovvero tessile e abbigliamento, che pure al momento rappresentano appena il 6% del fatturato complessivo. Molte imprese delocalizzano la produzione, ma la maggior parte acquista il prodotto già finito attraverso società create appositamente.
 
Un business che fa leva sul costo del lavoro più basso dell’intero continente asiatico, dopo quello del Myanmar. In Bangladesh, dove i lavoratori del tessile sono 3,5 milioni (dislocati in 4.500 fabbriche), i salari non superano 1800 taka al mese (18 euro), con orari di lavoro che raggiungono anche 15 ore al giorno, in condizioni di sicurezza molto pericolose. Gli incendi nei siti industriali hanno causato 500 morti tra il 2006 e il 2012. Una lunga scia di sangue culminata nell’episodio più celebre e drammatico. Nell’aprile del 2013 circa 1.200 lavoratori morirono e oltre 2 mila rimasero feriti nel crollo del Rana Plaza di Savar, il palazzo di 8 piani sede di decine di laboratori tessili che ospitava fabbriche fornitrici di capi di abbigliamento su commesse di brand internazionali. Tra i quali molti celebri marchi italiani. Così Benetton, Piazza Italia, Zara, Chicco, Prénatal e il gruppo Coin-OVS sottoscrissero l’accordo internazionale “Agreement on Fire and Safety Building” promosso dall’Ocse per rispondere alle iniziative internazionali per la sicurezza sui luoghi di lavoro.

In quel contesto, sette governi europei (tra i quali quello italiano) raccomandarono alle imprese internazionali di contribuire al Rana Plaza Donors Trust Fund, il Fondo creato per compensare le vittime della tragedia. Molti altri problemi, peraltro, sono alla base del mancato sviluppo di nuovi settori commerciali: dal sistema burocratico inaffidabile, al deterioramento dell’ordine pubblico fino alla corruzione. «Il mercato locale – osserva il ministero degli Esteri italiano – offrirebbe invece alle imprese buone opportunità di inserimento soprattutto nel settore energetico, delle infrastrutture elettriche e stradali, del trattamento degli scarichi industriali e delle telecomunicazioni, così come nel settore agro-industriale (conservazione e lavorazione della frutta e degli alimenti), dell’acquacoltura».

I RISCHI
Invece Il Paese asiatico, come emerge ancora dai dati della Sace, rappresenta tuttora appena il 74mo mercato di destinazione dell’export italiano e il 12mo nell’area dell’Asia Pacifico. Guardando agli indicatori di rischio, peraltro, emerge che il timore di guerre e di disordini civili è la principale ragione che tiene lontani dal Bangladesh potenziali investitori italiani. In più attivi a fare affari con Dacca, peraltro, sono i lombardi. L’interscambio regionale con il Bangladesh è passato da 120 milioni a 131 in un anno, e rappresenta il 14% del totale nazionale. Le esportazioni hanno un valore di 52 milioni di euro, in crescita a Brescia (+166%), Lecco (+131%) e Lodi (+110%).
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