Sospettato di jihadismo: controlli sulla posta in cella

Sospettato di jihadismo: controlli sulla posta in cella
di Erasmo MARINAZZO
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Mercoledì 22 Febbraio 2017, 06:45 - Ultimo aggiornamento: 10:52
La corrispondenza in carcere ai tempi dell’allarme terrorismo. Quando sei un fervente praticante della religione islamica. Quando sei sospettato di poter radicalizzare un credo religioso fino all’adesione allo jihadismo. Che vuol dire un potenziale proselitismo della guerra santa contro gli “infedeli”. E quando in cella trovano lettere fatte a pezzi.
Ventitrè anni, afghano, nel carcere di Lecce per scontare una condanna definitiva per una rapina commessa a Reggio Calabria: è stato colpito da un decreto di controllo della posta in arrivo ed in partenza.
Lo ha emesso il magistrato del Tribunale di Sorveglianza a seguito della relazione depositata dalla direttrice del carcere di Borgo San Nicola, Rita Russo, e basata sostanzialmente su una conclusione: quel detenuto presenta i segni, come si dice in questi casi, della radicalizzazione religiosa. Ed essendo ritenuto una figura carismatica nella casa circondariale, si profila il rischio che possa diffondere dietro le sbarre i principi dell’estremismo islamico fra chi prima o poi lascerà il carcere e tornerà libero.
Il provvedimento del magistrato, necessario poiché la libertà e la segretezza della corrispondenza è un diritto fondamentale della persona garantito dalla Costituzione, è stato discusso ieri mattina dall’avvocato difensore Diego Cisternino davanti al Tribunale di Sorveglianza (presidente Silvia Maria Dominioni, giudice relatore Michela De Lecce). Il legale ha chiesto la revoca, mentre il rigetto di questa richiesta è stato invocato dal sostituto procuratore generale Giampiero Nascimbeni.
 
La decisione è attesa per i prossimi giorni e riguarderà un caso emerso dall’attività di prevenzione del rischio di radicalizzazione in carcere dell’estremismo islamico svolta alla fine dell’anno scorsa dalla polizia penitenziaria. La cella del giovane afghano venne ispezionata nel periodo natalizio sul presupposto che potesse trattarsi di un simpatizzante jihadista. L’attenzione cadde nel cestino dei rifiuti: c’erano delle lettere fatte a pezzi. Quelle missive furono ricomposte ed affidate ad un interprete, nominato dal magistrato di Sorveglianza. E il decreto di controllo sulla posta in entrata ed in uscita è stato emesso poi sulla base di quelle traduzioni e sulla segnalazione della direzione carceraria di contatti con extra comunitari di religione islamica che erano stati detenuti a Lecce e che in seguito furono trasferiti in altre strutture o tornarono liberi. Perché in alcune frasi sono state ravvisate forme di radicalismo islamico.
La difesa ha fornito una prospettiva diversa al Tribunale di Sorveglianza: l’avvocato Cisternino ha sostenuto che quelle lettere erano state solo strappate e non distrutte e che non c’è alcuna prova sul fatto che il detenuto afgano volesse nascondere la sua fede religiosa. Altrimenti avrebbe potuto bruciarle o buttarle nel water, quelle lettere. Il legale ha fatto, infine, presente che appena una settimana prima la stessa cella era stata perquisita. E che, dunque, l’indiziato di proselitismo jihadista avrebbe potuto prendere ben altre precauzioni.
Se l’allarme terrorismo ha privato un cittadino straniero di un diritto tutelato dalla Costituzione o se ci fossero i presupposti per controllare la sua corrispondenza, è una questione che toccherà dipanare ai giudici del Tribunale di Sorveglianza.
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