Sobrietà e basso profilo: Leone de Castris, il pm dei casi impossibili. Ultimo colpo, l'arresto dell'assassino di Eleonora e Daniele

Il procuratore di Lecce, Leonardo Leone de Castris
Il procuratore di Lecce, Leonardo Leone de Castris
di Rosario TORNESELLO
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Giovedì 1 Ottobre 2020, 13:16 - Ultimo aggiornamento: 16:43
Né clamori né riflettori. Lo stile di vita diventa modalità operativa, non il contrario. Se vai per mare lo sai meglio, lo sai prima. “Il pesce è pesce quando sta nella barca. È sbagliato gridare che l’hai preso quando ha solo abboccato”. L’incipit di Erri De Luca apre un romanzo (“Tu, mio”) e per traslazione sintetizza una storia: questa. Che del mare si porta appresso il profumo e gli insegnamenti: il senso profondo dell’attesa, il rispetto dovuto alla preda, il silenzio. Ancor più se sei pescatore subacqueo e ti immergi in apnea: il limite dei polmoni compensa il vantaggio del fucile e sul fondo del mare si gioca ad armi pari. Il pesce è pesce quando sta nella barca, inutile gridare prima. Leonardo Leone de Castris, capo della Procura di Lecce, appassionato di pesca subacquea, non grida. Via dai clamori, dai riflettori. Preso l’assassino di Eleonora Manta e Daniele De Santis, ha lasciato scena, microfoni e telecamere ai carabinieri per tutti i dettagli dell’operazione. «Un lavoro straordinario, il loro», il giusto omaggio. Poi via.

Mai un passo azzardato, una frase fuori posto, un’espressione eccessiva anche del volto. Cortesia e fermezza viaggiano assieme. Incedere ed eloquio seguono i canoni della misura e del controllo, quasi chiedesse scusa per il disturbo, per le attenzioni calamitate dal suo lavoro, per le implicazioni che inevitabilmente ne derivano. E già qui il procuratore solleverebbe una prima obiezione, garbata e tuttavia decisa: “Non il mio lavoro, ma quello dell’ufficio. La funzione del pubblico ministero è impersonale”, direbbe, potendo. Ma siccome questo articolo è redatto a sua insaputa (frase cristallina a prova di smentita), al più potrà pensarlo. Poco male.

Sobrietà è la sua parola d’ordine. Ha colpito l’Italia tutta, sotto choc per il delitto di Lecce e appena risollevata dall’arresto dell’assassino, presentandosi a tarda sera davanti alle telecamere in jeans, polo scura e giubbino nero di pelle per spiegare brevemente - assieme a colleghi e investigatori - la svolta nelle indagini. Sei minuti e trenta secondi appena, un flash aperto da una premessa («essenziale per noi», ha aggiunto) che la dice lunga: «Questa non è una conferenza stampa». Un po’ Magritte nell’“Inganno delle immagini” - “Ceci n’est pas une pipe” - ma con altra sostanza, evidentemente. Il basso profilo - infatti - è un punto centrale delle sue linee programmatiche, presentate e approvate dall’assemblea dei magistrati all’atto dell’insediamento a Lecce, il 23 maggio di tre anni fa. Pagina 75, paragrafo dedicato ai rapporti con gli organi di informazione: “Salvo casi eccezionali, la Procura non convoca conferenze stampa. Nelle comunicazioni assoluta sobrietà, con riferimento impersonale all’ufficio. Da evitare la spettacolarizzazione delle funzioni e le dichiarazioni eccessive che farebbero perdere il senso dell’imparzialità e della neutralità dell’azione giudiziaria”. Fatto. Dopo aver ringraziato i magistrati con i quali ha seguito le indagini (la titolare del fascicolo Maria Consolata Moschettini e i due procuratori aggiunti Elsa Valeria Mignone e Guglielmo Cataldi), de Castris ha avuto un pensiero per il giovane studente universitario fermato pochi minuti prima, Antonio De Marco, 21 anni: “Tutto questo nella presunzione di innocenza dovuta all’indagato”. Sapeva già che il sospettato aveva confessato ai carabinieri, ma doveva ancora farlo alla presenza del difensore. Cultura giuridica e rispetto. Il pesce è pesce quando sta nella barca. Non ha dormito la notte dopo aver visto i due giovani accoltellati; non ha dormito quando ha capito chi era l’assassino. Un ragazzo.

Classe ‘59, figlio di Arcangelo, storico e critico dell’Università di Bari, finissimo intellettuale scomparso nel 2010, Leonardo Leone de Castris è stato il più giovane magistrato d’Italia a essere nominato procuratore. Non aveva ancora 49 anni quando - nel 2008 - fu chiamato a dirigere la Procura di Rossano Calabro. Da lì a Foggia, nel 2012, e poi a Lecce. Un curriculum di peso, soprattutto per qualità. Ad esempio: l’inchiesta sull’affondamento della nave albanese Kater I Rades, carica di profughi e speronata da una corvetta della Marina, il venerdì santo del 1997 (il relitto, recuperato, è un monumento nel porto di Otranto); le indagini sui vertici deviati della polizia a Brindisi; l’arresto del questore del capoluogo adriatico, processato per aver ucciso dall’elicottero un contrabbandiere in fuga su uno scafo; la cattura dell’assassino della dottoressa Maria Monteduro, ammazzata in guardia medica a Gagliano del Capo nel 1999 da un giovane, incastrato col Dna estratto dalle tracce di saliva su un francobollo. E poi le operazioni antimafia, inevitabili da queste parti: su tutte “Mediana”, 150 arresti per disarticolare le frange brindisine della Scu. “Quando decisi che avrei voluto fare questo lavoro - raccontò una volta agli studenti di un liceo - ero un adolescente. Volevo salvare il mondo, avevo questa visione romantica. È facile urlare contro la corruzione e la criminalità, ma è difficile guardarsi dentro. O ci diamo un sistema di regole condivise o soccomberemo nel giro di pochi anni”.

La capacità di individuare la preda e attendere è la prima qualità. La seconda, trasmettere serenità. In ufficio gli riconoscono queste doti, elencate non con ordine di importanza. Nessun approccio ideologico alle indagini; un sano distacco dalle cose e dai temi, l’equivalente del passo indietro davanti a un capolavoro: una volta osservati i dettagli, è la vista d’insieme quella che conta. Il tono della voce sempre misurato; se proprio, fa calare il gelo: due parole come fendenti e stop. La dialettica diventa strumento di indagine: su tutto, la volontà di dare compattezza all’ufficio, creare un ambiente sereno e amichevole, pur in un contesto - quello della magistratura - dove le primedonne di certo non mancano. In sostanza, l’immagine trasmessa all’appuntamento con i cronisti, lui e i colleghi insieme ad annunciare il fermo dell’assassino.

Poi c’è l’uomo. Pensi sia discorso diverso e invece no. Il paradigma non cambia: rispetto assoluto e attenzione per gli altri. Sposato da 29 anni con Maria Renata Dolce, ordinaria di Letteratura inglese a Unisalento, due figli (Arcangelo, come il nonno, e Francesco, 27 e 22 anni), fa vita molto riservata. Il carattere estroverso e solare della moglie lo spinge fuori casa più di quanto vorrebbe. Ma gli amici sono quelli di sempre, pochi e selezionati. Grande attenzione alla forma fisica (sport tre volte a settimana e lunghe sedute di training autogeno, ottimo per le immersioni e non solo); alimentazione semplice, nulla di elaborato, come l’abbigliamento, non griffato. Ma chi pensasse a un musone sbaglierebbe: ironia raffinata e grandi risate. In più legge molto: ripete sempre che per fare bene un lavoro come il suo occorre conoscere a fondo gli uomini, non solo i codici. E la letteratura aiuta. Si capisce.

Martedì pomeriggio, chiuso o quasi il caso della carneficina di via Montello, s’è spinto fino a Santa Maria di Leuca col più piccolo dei suoi figli. Mare, canna da pesca e orizzonti infiniti per recuperare forze ed energie. Fatica, tensione e stress non entrano in casa ma te li porti comunque dentro. Difficile immergersi negli abissi dell’animo umano senza respirarne le scorie, anche per chi s’è costruito da solo, a 12 anni, con un ombrello, la sua prima attrezzatura da sub. Anche per chi da piccolo sognava di salvare il mondo, sapendolo già marcio. Ma forse non così, non fino a questo punto.



 
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