Najib, scappato dall'Iran a 16 anni: «A Lecce ho aperto due sartorie»

Najib, scappato dall'Iran a 16 anni: «A Lecce ho aperto due sartorie»
di Pierpaolo SPADA
6 Minuti di Lettura
Mercoledì 25 Ottobre 2023, 05:00

Con giacca di velluto e metro sul collo: «Bellissimo capo, torna martedì e lo riavrai come nuovo», assicura Najib accompagnando alla porta il cliente. Che, prima di uscire, volta fugacemente lo sguardo indietro e: «Scusami sai, ma devo proprio scappare, mi aspettano», si giustifica. Lui lo saluta, ritorna verso il banco e, a volto basso, bisbiglia: «Dissi la stessa cosa a mia madre 17 anni fa». 
Era la primavera del 2006. Najib Nazari di anni ne aveva 16. E ad aspettarlo non c’erano gli amici, bensì quel gruppo di «contrabbandieri» che in cambio di mille dollari, nel giro di un anno, gli consentì di raggiungere clandestinamente prima la Turchia, poi la Grecia e, infine, l’Italia, Lecce: la città in cui ormai 32enne oggi vive. Ha da poco aperto la sua seconda sartoria e tra non molto sposerà la sua compagna salentina. Povero e impaurito ma pieno di speranza, il sarto decise di partire da Esfahan in Iran, dove con la madre, il padre e i suoi 11 fratelli si era trasferito dieci anni prima per sfuggire ai rischi e ai soprusi ai quali erano esposti in Afghanistan, sua terra natìa, quella che gli impose presto la visione di immagini che ancora lo tormentano: «A Mazar-i Sharif non potevamo più stare perché papà e tre dei miei fratelli facevano parte dell’esercito afgano e ogni volta che il governo veniva rovesciato rischiavano d’essere impiccati, sparati o mutilati», come a tanti accadde.

Il racconto

«Spesso giocavamo a pallone o a rincorrerci, anche tra i cadaveri». Per le piazze, le strade, le botteghe: «Ho visto i talebani sgozzare più di venti persone davanti ai miei occhi. E troncare le dita a un ladro con il machete. E ho visto un missile sorvolare la mia casa. Ho visto - dice Najib -, e ho ancora tutto dentro. Ma continuo a credere in me stesso e alla forza che ho avuto per salvarmi, non impazzire e guardare avanti». 
Fu il fratello maggiore, emigrato in Grecia, a passargli il contatto dei «contrabbandieri» e a convincerlo a lasciare il Medio Oriente: «Mia madre mi aveva insegnato a cucire e ricamare. Perciò, già a 10 anni trattavo seta, lino e cotone in laboratori di 7-8 persone per 12 ore al giorno. Dicevano che ero bravo. Ma io - ammette - non ero felice, non vedevo prospettiva. Anche in Iran, mi mancava la libertà. E decisi». Najib chiamò i «contrabbandieri». Versò - come richiesto - nella banca e sul conto indicati i mille dollari che poi una volta giunto in Turchia avrebbe egli stesso sbloccato comunicando alla banca l’apposito codice. Prese l’autobus, arrivò a Teheran: «E da lì camminai per 10 giorni fino al confine con la Turchia con altre 200 persone. Ho attraversato deserti e montagne aggirando i posti di blocco, sotto la guida di uomini armati a cavallo. Ero il più piccolo e nello zaino avevo un po’ d’acqua e 4 panini vuoti». 
Da Istanbul, dietro pagamento di altri 250 euro, il viaggio proseguì in gommone di notte fino alla Grecia. Nuovo approdo, nuovo incubo per Najib che, osservando il contesto, capì subito di voler puntare all’Italia ma, nello stesso tempo, anche quanto sarebbe stato difficile farcela: «Mi infilavo sotto i camion per entrare nelle navi e ogni volta la polizia portuale greca mi scopriva e mi massacrava di botte. A Corfù rimasi 10 mesi fin quando i contrabbandieri non mi infilarono con altri 4 in un tir che trasportava legname. Sbarcammo a Brindisi. Il camion si fermò quasi un’ora dopo in una residenza vicino a Villa Convento per depositare il carico. L’autista senti bussare, aprì il portellone ed ebbe un malore perché non sapeva che fossimo lì. Scappammo, due da una parte e due dall’altra». 
Traguardo? Inizialmente, fu il vuoto: «Persi subito il mio compagno che per la fame morse un fico d’india con tutte le spine e fu trasportato in ospedale.

Ero solo e non sapevo dove andare. Chiesi aiuto in Questura», racconta Najib. Che dormì dieci notti nella villa comunale di Lecce, fino al giorno dell’accoglienza nell’ex Itca dove rimase per un anno e mezzo «come richiedente asilo», prima d’esser convocato a Foggia nel 2009 dalla Commissione territoriale per l’immigrazione dalla quale ottenne il rilascio del permesso di soggiorno e del titolo di viaggio: «Alloggiai per tre mesi e mezzo nel ghetto di Borgo Mezzanone. E credo che quello sia stato il punto più basso della mia vita in Italia. Ero ridotto come una bestia e ogni giorno ne accoltellavano uno», dice Najib.

Il diploma in "moda"

Fu l’istruzione a consentirgli di fare nuovi passi avanti in termini di socializzazione/alfabetizzazione - già all’Itca - e per la definitiva integrazione con l’ingresso dell’istituto professionale “De Pace” dove il sarto ha conseguito il diploma in “Moda”. Tirocini ed esperienze lavorative non tardarono, nelle sartorie ovviamente e grazie anche a progetti sociali, come “Made in carcere”. Ma la svolta è arrivata nel 2018 con il bando “Selfiemployment” di Invitalia che, tramite la concessione di un prestito di 20mila da restituire in 7 anni, gli ha permesso di aprire la sartoria. Un corso accelerato in Economia aziendale alla Camera di commercio, l’insegna col suo nome a un piccolo locale in via Papatodero e via: in 4 anni Najib si è affermato al punto da dover ampliare il primo locale e affittarne un altro vicino ai Salesiani, dove a marzo ha inaugurato il suo secondo laboratorio. L’umiltà l’ha reso sereno. Oggi non è soltanto un sarto sopraffino ma un uomo che vuol restituire l’aiuto ricevuto, a partire dallo Stato, per il quale - quando occorre - fa da mediatore, interprete e componente della Commissione territoriale per l’immigrazione. Ma tra poco Najib sarà a tutti gli effetti anche un cittadino italiano. E, dopo aver riferito che ormai tutta la sua famiglia vive in Europa, confida di avere ancora un sogno da coronare: «Vorrei aiutare le persone. Vorrei aprire una grande officina tessile e far lavorare centinaia di operai. Per ora ne ho due e sto per assumerne un terzo. Ogni giorno lavorano con me delle signore bravissime. Ma ospitiamo anche un ragazzino giunto in Italia con l’Onu: sa cucire - dice sorridendo -, è nato in Afghanistan».

© RIPRODUZIONE RISERVATA