Don Gianni: «Accanto a chi muore da solo senza un'ultima carezza»

Don Gianni: «Accanto a chi muore da solo senza un'ultima carezza»
di Antonella MARGARITO
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Giovedì 10 Dicembre 2020, 08:43 - Ultimo aggiornamento: 11:00

«Dio si è dimenticati di noi... forse siamo stati cattivi». Morire senza una carezza, senza il conforto di un figlio, di un fratello di un marito, di un amore.
La morte al tempo del Covid è intrisa di disperazione, di solitudine. La vecchia signora con la falce oggi fa ancora più paura. Il pensiero che una mamma, un padre, un parente, un amico possano chiudere gli occhi in totale solitudine quando la pietas cristiana vorrebbe che l'ultimo sguardo di una vita terrena sia quello del proprio affetto più grande, è disumano.


La solitudine al tempo del Covid non è quella del lockdown ma è quella che si vive negli ospedali, in quegli ospedali e in quei reparti dove è vietato entrare per la sicurezza degli stessi malati e del personale medico e paramedico. Ci si difende dal contagio e ci si ammala di tristezza, di panico, di angoscia. A volte l'unico fil rouge con i propri affetti rimane solo quel telefonino, fino a quando si ha la voglia e la forza di usarlo.

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«È finita, muoio disperata». Sono le ultime parole di una giovane donna alla sua più cara amica, all'amica, nemmeno alla figlia, forse per pudore, per non apparire debole in un momento così difficile. Ma c'è chi il telefonino nemmeno ce l'ha, ci sono gli anziani che non utilizzano whatsapp e nemmeno sanno come si fa una videochiamata, qualcuno si rassegna, affidando la propria disperazione a quel muro bianco di fronte, unico amico e confidente di ore e ore di solitudine contrappuntate soltanto dall'arrivo degli infermieri, stremati anche loro in questa situazione surreale che racconta pagine e pagine di dolore.
«Mi sono capitate diverse persone che si sono sentite lasciate sole, avrebbero voluto sentire addosso la mano di un parente, c'è chi addirittura pensava di essere stato abbandonato dai propri familiari ma anche da Dio. Abbiamo perso anche l'amore il bene più grande: Dio si è dimenticato di noi, siamo stati cattivi. Questi solo alcuni dei loro pensieri, perché e difficile stare sempre in una stanza e guardare un muro bianco».
Chi parla è il cappellano dell'ospedale Vito Fazzi di Lecce, don Gianni Mattia. Lui è l'infermiere dell'anima, colui che corre da un reparto all'altro per dare conforto, assorbendo come una spugna il dolore di chi soffre, nel corpo e nello spirito. Si occupa di dare l'ultima unzione nel momento del trapasso, ma anche, parallelamente o principalmente di dare sollievo a chi ha bisogno, anche di cose materiali, come può essere un rotolo di scottex.
«Tempo fa mi ha chiamato la figlia di una signora ricoverata negli infettivi per Covid, la signora non rispondeva al cellulare perché convinta di essere stata abbandonata, la figlia mi ha chiesto di portarle dello Scottex e di chiederle di rispondere al telefono. Marito e figli erano in isolamento anche loro per Covid ma la mamma non lo sapeva. Io sono andato e ho spiegato alla signora quello che stava succedendo e lei finalmente ha risposto al telefono. Dopo un giorno è morta. Se non fosse stato per te non avrei più sentito mia madre, mi ha detto la figlia ringraziandomi. Giorni fa ho fatto parlare un signore che non era pratico di videochiamte, con la moglie, si sono guardati, grande emozione e lei ha detto: Sei dimagrito, sei sciupato, per favore mangia, qualche volta cerca di scendere dal letto, fare due passi, non ti abbattere. Ha parlato con i figli, scherzato con i nipotini. E ancora proprio ieri ho fatto fare una videochiamata ad un'altra signora malata oncologica, poi abbiamo fatto una chiacchierata. Mi hai fatto il regalo più bello ha detto - ora starò bene per qualche giorno. Qui la disperazione si tocca con mano, forse sarebbe il caso che gli ultimi momenti di vita si possano condividere con un parente, la preghiera dell'estrema unzione per me è spesso un soliloquio. Di aneddoti potrei raccontarne tanti, anche quelli legati agli infermieri. Sono stremati, cercano di non farsi coinvolgere sentimentalmente dai malati, che malati stanno diventando pure loro, feriti nell'animo nel vedere tanta sofferenza e distrutti nel fisico. Anche loro hanno bisogno di una carezza».
Ma don Gianni ha la fede dalla sua parte, e non si abbatte, è ottimista, parla di luce in fondo al tunnel, ma lancia un messaggio: «Io ho visto pazienti lasciare questa terra con fame d'aria e infermieri incapsulati nelle divisa per ore senza poter andare in bagno. È la terza guerra mondiale contro un nemico particolarmente pericoloso perché invisibile. Chi non vive l'esperienza dell'ospedale non potrà mai comprendere quanto è dura questa situazione. È importante stare molto attenti evitare assembramenti nel rispetto di tutti coloro che sono morti e nel rispetto di chi sta lavorando per garantirci la salute: infermieri, medici e operatori. Ricordiamoci: il bene che seminiamo oggi diventerà germoglio di speranza domani».
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