AI e il boom in Borsa: attenzione alla bolla, dai tulipani alle dot-com la storia insegna cautela

Il pericolo è non distinguere tra valori reali e fuochi di paglia

Samuel Altman ceo di Open Ai
Samuel Altman ceo di Open Ai
di Paolo Balduzzi
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Mercoledì 6 Settembre 2023, 11:03 - Ultimo aggiornamento: 7 Settembre, 06:00

Nel 1967, un amico di famiglia, il sig. Robinson, diede un importante consiglio al giovane Benjamin Braddock: «Plastica, Ben. Il futuro è nella plastica».

Forse solo alcuni appassionati ricorderanno questo scambio, una delle più bizzarre battute del celebre film (e libro) “Il laureato”. Quasi sessant’anni dopo, ci sarebbe da chiedersi cosa potrebbe consigliare oggi un sig. Robinson a un neolaureato. La risposta, guardando ai listini e alle cronache, sembra scontata: intelligenza artificiale. Del resto, il clamore suscitato da alcune esperienze già diffuse su larga scala (come, per esempio, Chat GPT) o i guadagni in borsa delle imprese di questo settore, con aumenti di prezzo delle azioni fino a tre cifre, sembra non lasciare molti dubbi. La storia, tuttavia, invita a essere cauti. Il pericolo maggiore quando si investe in progetti innovativi, infatti, è quello di non distinguere tra valori reali, cioè aziende che producono beni di qualità riconosciuta dai clienti, e semplici fuochi di paglia, vale a dire mode del momento che nascondono enormi zone d’ombra. Il punto si applica alla perfezione proprio alle aziende che operano nell’intelligenza artificiale: nessuno, davvero, ne conosce le reali potenzialità, e quindi in pochi sanno distinguere progetti davvero innovativi da probabili buchi nell’acqua. E non si tratta solo di una questione squisitamente economica o finanziaria. Come tutti i fenomeni nuovi, il regolamentatore, cioè lo Stato, resta ancora alla finestra, in attesa di capire come normare (e tassare) il settore. ChatGPT ne è un esempio lampante: disponibile in quasi tutto il mondo, in Italia è stato bandito per qualche settimana, fino all’accordo che ha soddisfatto il Garante della privacy. Non è quindi così strano pensare che tutto questo fervore, invece che risolversi in grandi profitti, si possa al contrario rivelare una vera e propria bolla. Del resto, la storia insegna che di fronte a rapidi ed enormi guadagni si può nascondere un pericolo. Poco più di vent’anni fa, tra il secondo e il terzo millennio, proprio una bolla colpì il settore delle aziende cosiddette dot-com, cioè quelle che operavano in internet, la grande novità di fine anni ’90 del secolo scorso. Alcuni casi esemplari rendono l’idea: Cisco system, ai tempi leader mondiale, perse oltre l’80% del valore delle proprie azioni rispetto al loro valore massimo; il 50% delle aziende quotate all’inizio del periodo fallirono nel giro di pochi anni; altre, invece, come Amazon, riuscirono a superare la tempesta e ancora oggi sono attive e profittevoli. Quella crescita fu drogata anche dalla strategia di molte aziende di offrire gratis i propri prodotti, proprio come ora, almeno in alcuni casi.

ERRORI & CO.

Ci si ricorderà, per esempio, che all’inizio del secolo molti giornali scelsero di mettere a disposizione gratuitamente tutti i propri contenuti; salvo dover fare marcia indietro negli anni successivi per riuscire a garantire la qualità del prodotto. Episodi meno recenti ma comunque esemplari, che basta ricordare perché piuttosto noti, sono dati dalla bolla dei bulbi di tulipani in Olanda (nella prima metà del XVII secolo) e la crisi del 1929.

Per chi ama i corsi e ricorsi storici e non crede alle coincidenze, è fin troppo evocativo pensare che i semiconduttori siano i nuovi bulbi o che, esattamente cento anni dopo, siamo proprio nel pieno degli anni ’20. Scaramanzia a parte, però, cosa avvicina tutti questi casi? Almeno due elementi: la grandissima fiducia nelle potenzialità del mercato e i prezzi delle azioni che rispecchiano tale ottimismo. Forse anche la bassa attrattività di altri settori, che spingono ulteriormente la ricerca di buoni guadagni dove sembrano più semplici. Con l’aggiunta, almeno se guardiamo alla bolla delle dot.com, di tassi d’interesse a livelli simili: 4,75% nel 2000 e 5% ora negli Stati uniti. Stessa facilità d’investimento, verrebbe da pensare. Difficile fare previsioni. Del resto, una bolla si rivela solo quando è scoppiata. E cioè quando è troppo tardi. Resta un dubbio: sappiamo cosa consiglierebbe il sig. Robinson al giovane Ben, nel 2023. Ma se invece di parlare con lui, Ben oggi chiedesse all’intelligenza artificiale su cosa investire, che cosa gli risponderebbe?

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