Nei rifiuti spiaggiati la storia degli ultimi 50 anni. Dal Coccolino fake al Pierrot misterioso, il fascino inquietante della plastica

Nei rifiuti spiaggiati la storia degli ultimi 50 anni. Dal Coccolino fake al Pierrot misterioso, il fascino inquietante della plastica
di Alessandra LUPO
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Domenica 6 Marzo 2022, 17:02 - Ultimo aggiornamento: 18:22

L'idea è nata circa 4 anni fa. Poi c'è stato il crowfunding e le mostre (una è in corso al Teatro Margherita di Bari in collaborazione con National Geographic). Ma Archeoplastica, progetto di Enzo Suma, da oltre dieci anni al lavoro come guida naturalistica a Ostuni nonché fondatore di Millenari di Puglia, ora punta a fare il salto di qualità: portare in giro per l'Italia e per il mondo il museo virtuale Archeoplastica, che raccoglie i rifiuti spiaggiati (sulle coste pugliesi) e cerca di capire da dove arrivano, spesso con sorprese molto interessanti. Il progetto è tutt'altro che un hobby e nasce da una sorta di epifania: la comunicazione affettiva, in questo caso legata al immagini della nostra memoria, è più efficace di quella puramente informativa. Il caso della plastica e del suo difficile smaltimento ne è un esempio lampante e un flacone di ammorbidente che usava nostra nonna, ritrovato in una spiaggia, non solo fa l'effetto di una capsula del tempo ma ci aiuta a toccare con mano quello che sta accadendo ai nostri mari.

 


Enzo Suma, come ha iniziato?
«Dal 2018 siamo impegnati attivamente nella sensibilizzazione sul tema dell'inquinamento da plastica e organizziamo diverse giornate di raccolta collettiva durante la quale partecipano decine di persone».
Il suo progetto è unico: non esiste nulla del genere al mondo.
«No, esiste una ragazza che raccoglie plastica sulle spiagge del Delta del Po e una biologa marina portoghese che segnala i danni della plastica in mare raccogliendo anche alcuni rifiuti. Il nostro progetto, che si articola anche nello studio del design e della commercializzazione dei marchi, da quello che ci risulta è unico».
Guardare un rifiuto aiuta a far riflettere più di molti dati?
«Sì, il nocciolo della mia ricerca, che ormai appassiona una piccola comunità di persone (su Instagram abbiamo avuto un'impennata di contatti), parte proprio da questo: sappiamo che la plastica ci mette almeno 500 anni a degradarsi ma leggere i loghi di cinquant'anni fa ancora visibili sulle confezioni ci colpisce».
Voi portate il vostro progetto anche nelle scuole.
«Sì, soprattutto della regione, ma ora vogliamo varcare i confini regionali».
Accanto alla sensibilizzazione fate un lavoro di fatto artistico...
«Il museo virtuale si concentra su pezzi rari e ben conservati. Io personalmente sono un accanito raccoglitore di plastiche spiaggiate. Ed è proprio durante queste raccolte che ho avuto l'idea di raccontare la storia di questi oggetti. Ma ovviamente il problema resta la progressiva frantumazione dei contenitori nelle temute microplastiche».
Ultimamente avete portato avanti una vera e propria investigazione su dei misteriosi flaconi di ammorbidente a forma di orsacchiotti, che si trovano solo sulle spiagge pugliesi.
«Sì, la ricerca ha appassionato molti utenti, in tanti ci scrivevano che si trattava di Coccolino ma si vedeva subito che non era così e alla fine siamo riusciti a risalire alla fabbricazione di questo prodotto e al suo designer. Adesso stiamo cercando di scoprire da dove arriva un altro inquietante flacone che ha come tappo la testa di una specie di Pierrot. Ma questo è davvero un mistero...».
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