Professore, qual è la fotografia che col suo tour sta scattando dei territori, e del Pd sui territori?
«Grandi potenzialità delle risorse umane, un quadro di conoscenze e competenze estramente diffuso nel Pd, persone che hanno capacità per dire cose rilevanti nei processi decisionali. Altro elemento, il numero di circoli che già tentano un’operazione di mobilitazione cognitiva. Ero già certo che il processo partecipativo che descrivo nel documento fosse presente nella pancia del Pd, ma gli esperimenti non mancano: ci sono circoli che hanno individuato delle tematiche anche abbastanza rilevanti e ne hanno fatto oggetto di confronti aperti anche alla cittadinanza e ad associazioni caparbiamente indipendenti».
«Bisogna recuperare alcuni profili tipici di qualunque organizzazione che ha bisogno di una struttura: una presenza continuativa di persone che dedichino tempo al partito. Questo non vuol dire ripristinare l’apparato, ma immaginare forme di attività temporanea e remunerata per il partito. Insomma: rafforzamento dell’organizzazione e messa in rete delle unità territoriali del Pd, che tra loro non sono collegate. Dall’altro lato però occorre apertura: con una ricchezza di associazioni caparbiamente indipendenti non si può pensare di far rientrare tutto diligentemente nel partito, ma bisogna rendere conveniente affacciarsi al Pd».
«Discutendo uno-due temi, uno istituzionale e uno economico-sociale: sarebbe la prima occasione di ripresa di una discussione vera, fuori dai canoni della sola lotta tra persone».
«Un problema può diventare opportunità, con un confronto aperto proprio al congresso, discutendo con franchezza, ma con tempi distesi. Sarebbe un modo moderno per discutere. Il presidenzialismo? Una risposta sbagliata che parte da una diagnosi sbagliata, secondo cui la causa dell’ingovernabilità sta nella limitata concentrazione dei poteri. E invece in Italia i poteri sono molto concentrati».
«L’errore è associare i due nomi a socialdemocrazia e liberalismo in modo rigido. Il mio documento invece unisce argomenti forti della tradizione liberale (concorrenza e merito), di quella social-comunista (lavoro e giustizia), con un elemento cardine della tradizione cristiano-sociale (l’attenzione alla persona). Non mi sembra il mio modello corrisponda a quella bipartizione, vecchia e superata».
«Beneficia del non aver avuto lacerazioni interne, dimostrando una compattezza che fa onore al suo partito. In futuro sarà importante che anche in luoghi diversi, come Sel o la galassia dell’associazionismo, la discussione sia non settaria, ma simile a quella che mi aspetto dal Pd. Se riflessioni simili avvengono in luoghi diversi, chi ha più filo tesserà».