L'intervista/Antonio Manganelli
«Splendido Salento da vivere in sicurezza»

L'intervista/Antonio Manganelli «Splendido Salento da vivere in sicurezza»
di Rosario TORNESELLO
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Domenica 12 Agosto 2012, 19:32 - Ultimo aggiornamento: 26 Settembre, 11:49
LECCE - Una breve vacanza. Il Salento come una parentesi: si interrompe un anno difficile, si recuperano le energie per l’autunno che verr, col suo carico di interrogativi, di incertezze, e comunque gi “caldo”.
Il capo della polizia Antonio Manganelli fa tappa a Miggiano, ospite d’eccezione di una rassegna culturale (Miggianosilibra, appunto) che ha questo di particolare: accende i riflettori quando il personaggio c’è ed è di spessore. Venerdì sera lo era. I temi, lo erano anche quelli: la sicurezza, la criminalità, i tagli alla spesa. Questo spicchio di sud come luogo d’accoglienza.



Prefetto, per lavoro o per vacanza, negli ultimi anni lei ha frequentato spesso il Salento. Le inchieste, la festa della polizia, la Notte della Taranta, il mare... Come trova questa terra?

«Bellissima. Il Salento riesce ad essere accogliente e ha saputo valorizzare nel tempo le sue peculiarità con una politica adeguata. Credo che meriti il successo che ha».



I problemi non mancano. L’estate leccese aveva un calendario ricco, ma le date clou sono saltate: un omicidio durante l’allestimento del palco ha fatto cancellare le tappe della Pausini e di Brignano. E negli stessi giorni a Taranto è riesplosa la guerra di mafia, mentre a Brindisi si susseguono gli incendi dolosi. Che aria tira?

«Io non credo che la presenza criminale in queste aree sia più importante di quella che purtroppo esiste sul resto del territorio nazionale. Il Salento, come la Puglia in genere, ha avuto periodi peggiori. Oggi opera una delinquenza che ritroviamo ormai quasi in tutte le regioni italiane, a cominciare da Roma capitale. Le defezioni degli artisti sono legate a una forma di rispetto dopo i fatti delittuosi, non alla paura verso questo territorio. Le azioni di contrasto messe in atto dalle forze dell’ordine sono tali da poter consentire alla gente di vivere tranquilla. Oggi la percezione dell’insicurezza è da attribuire ad altro».



A cosa?

«Gli elementi che generano paura sono l’incertezza del domani, la mancanza di adeguati punti di riferimento, una situazione di generale confusione che non facilita la nostra vita di tutti i giorni. Occorre garantire i diritti di libertà del cittadino. E il primo è essere liberi dal timore».



Paura, timori, insicurezza. Dica la verità: il 19 maggio cosa ha pensato dopo la notizia dell’esplosione davanti alla scuola “Morvillo Falcone” di Brindisi?

«Ho pensato esattamente a quello che poi è stato riscontrato nelle indagini. Ho sentito un sacco di sciocchezze, nelle prime ore. Cosa Nostra? Non ha mai fatto niente se non per raggiungere un obiettivo preciso. Sacra corona unita? Non aveva motivo per compiere un’azione del genere. Il terrorismo, poi: e quale? Il terrorismo interno dei brigatisti di sinistra in questo momento non esiste; c’è un anarco-insurrezionalismo che ha un solo obiettivo: compiere azioni e rivendicarle. Andando per esclusione puoi arrivare alla cellula eversiva che tende alla destabilizzazione dello Stato. Ma non mi sembra che in questo momento nel nostro paese sia matura un’esperienza di questo tipo. Così giungi al concetto di Unabomber. Scherzando - perché a me piace dissacrare i momenti più drammatici per lavorare con un minimo di serenità - dissi che Unabomber è possibile, “Duebomber” no. In quei giorni il lavoro di squadra, anche con i Ros dei carabinieri, è stato splendido. E i risultati si sono visti».



Lei mandò a Brindisi quanto di meglio aveva, in termini di capacità investigativa. Tra questi, Francesco Gratteri e Gilberto Caldarozzi, poi rimossi ai primi di luglio dopo la sentenza di condanna per i fatti accaduti alla “Diaz”, durante il G8 di Genova, nel 2001. Quanto le costa dover fare a meno di loro?

«La vita di un’azienda come la nostra che produce sicurezza va avanti. Gratteri e Caldarozzi sono state delle pedine preziose nel mondo dell’investigazione. Ma la polizia ha anticorpi e professionalità di tale livello che persone straordinarie vengono sostituite da figure altrettanto straordinarie, cui va la nostra fiducia».



Le condanne per Genova, poi quelle per il pestaggio e l’uccisione di Federico Aldrovandi a Ferrara: nel luglio scorso lei ha dovuto chiedere per due volte scusa per fatti terribili commessi da uomini in divisa. Quanto le è pesato?

«Ci sono delle cose che vanno rispettate sempre e comunque, così come le istituzioni vanno rispettate sempre e comunque. Si deve avere fiducia nella magistratura, sia quando si esprime con provvedimenti che condividi sia quando sono provvedimenti che in cuor tuo non condividi. Se qualcuno ha fatto una mascalzonata, ha violato la legge penale e ha messo nelle condizioni di parti lese dei liberi cittadini, credo sia doveroso chiedere scusa. Quando la magistratura accerta una violazione, allora si ha il dovere di farlo».



Prefetto, uno Stato può scendere a patti con la criminalità organizzata?

«Assolutamente no. Lo Stato non deve mai scendere a patti, ma poi sul un concetto di trattativa ci sarebbe da dire un sacco di cose: la trattativa dello Stato con la criminalità è una cosa, la trattativa dell’investigatore con il singolo delinquente un’altra».



In clima di tagli alla spesa, e con riferimento alla sicurezza e all’ordine pubblico, le chiedo: è importante avere più poliziotti, più telecamere in strada o, per citare Sciascia, più bravi maestri alle Elementari?

«I tagli mettono in difficoltà anche la sicurezza. Sia chiaro: più caserme e più uomini ci sono, in genere più espressioni di sicurezza, meglio si lavora. Per ora i sacrifici delle forze di polizia hanno portato comunque ad una adeguata produttività. E quanto all’educazione e alla formazione culturale, credo sia proprio vero quello che diceva Sciascia: la mafia era ed è anche un modo di essere, di pensare, di agire. Il compito di tutti è contrastare un fenomeno culturale particolarmente penetrante. È importante farlo attraverso ricambi generazionali e attraverso un’adeguata azione di divulgazione della cultura. Bastano anche iniziative come questa: parlare di temi importanti in piazza, con calma. Non dobbiamo immaginare grandi scenari».
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