L'intervista a Ruben Razzante, un libro sul digitale: «Social rischio e risorsa: Ia in rapida evoluzione»

Il giornalista e docente universitario, che presenta oggi a Lecce il suo ultimo libro dedicato alle potenzialità del digitale, nominato consulente della Commissione Senato presieduta da Liliana Segre per il contrasto dei fenomeni di odio in rete

L'intervista a Ruben Razzante, un libro sul digitale: «Social rischio e risorsa: Ia in rapida evoluzione»
di Adelmo GAETANI
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Venerdì 26 Gennaio 2024, 07:38 - Ultimo aggiornamento: 10 Aprile, 09:38
Dopo "L'informazione che vorrei" e "La Rete che vorrei", Ruben Razzante, ancora con Franco Angeli Editore, pubblica "I (social) media che vorrei" che oggi alle 18.30 verrà presentato al Convitto Palmieri di Lecce durante un evento Lions. Quel vorrei - ripetuto nel finito di una trilogia e nell'infinito della volontà di cercare una via maestra che sottragga l'informazione alle trappole di un incalzante e spesso incontrollato sviluppo tecnologico e ai tentativi di stringere i confini di un bene pubblico prezioso, qual è l'autonomia dei giornalisti - indica la necessità di non perdere gli ancoraggi del presente, senza negare la prospettiva di un rapporto proficuo con l'innovazione tecnologica che comporta profondi e inevitabili cambiamenti da comprendere e governare a tutela di ogni società democratica e nell'interesse degli stessi operatori professionali.
Ruben Razzante, giornalista, docente universitario, autore di numerose pubblicazioni, tra le quali spicca il "Manuale di diritto dell'informazione e della comunicazione" (Cedam), giunto alla nona edizione, proprio alla vigilia della Giornata della Memoria è stato nominato consulente della Commissione di Palazzo Madama, presieduta dalla senatrice a vita, Liliana Segre, per il contrasto dei fenomeni, che sui social trovano facile ospitalità, di intolleranza, razzismo, antisemitismo, istigazione all'odio e alla violenza. Un esperto a tutto tondo, capace di muoversi con competenza professionale e conoscenza giuridica lungo il crinale accidentato di una rivoluzione tecnologica continua che ammalia, come il canto delle sirene, e allarma, come tutto ciò che non si è in grado di controllare. E noi in mezzo, per dirla con il Poeta, "tra color che son sospesi".
Allora, professor Razzante, che fare, con quale occhio guardare al futuro dell'informazione al tempo dei social media?
«Il nuovo volume è una raccolta di saggi che ha coinvolto tutti gli attori di produzione e distribuzione di contenuti giornalistici, oltre ai regolatori istituzionali. Il lavoro vuole essere un contributo su temi decisivi nel processo di costruzione di una democrazia digitale inclusiva, rispettosa dei valori della persona e imperniata su un corretto e maturo rapporto tra uomini e tecnologie. Non a caso mi piace parlare di umanesimo digitale».
Un'idea di umanesimo, nei fatti, polverizzata dallanarchia sempre più pervasiva e violenta che regna nel mondo dei social a danno dell'informazione professionale. Non è così?
«Penso che i social media rappresentino sia un pericolo che una risorsa per il lavoro giornalistico. Da un lato, possono costituire una trappola, in quanto favoriscono la diffusione di notizie non verificate, distorte o addirittura false. D'altra parte, possono rivelarsi strumenti utili ai giornalisti per monitorare gli eventi in tempo reale, ottenere testimonianze dirette da persone coinvolte e identificare storie di interesse pubblico. Tuttavia, è fondamentale che i giornalisti siano consapevoli dei pericoli associati ai social media e adottino un approccio critico nella verifica delle informazioni. Il controllo delle fonti, la ricerca accurata e la conferma incrociata delle notizie rimangono principi fondamentali per il giornalismo di qualità, indipendentemente dal canale distributivo utilizzato».
A proposito di social, lei parla di "igiene digitale", introducendo un concetto para-sanitario. Perché?
«Può sembrare un richiamo strano, ma non lo è, se solo pensiamo a tutti gli abusi e i danni che si possono subire e si subiscono su Internet. È un problema che riguarda la tutela della salute fisica e mentale nell'attività on line e impone l'adozione di pratiche e precauzioni per proteggere la sicurezza, la privacy e il benessere nel contesto digitale. Ciascuno di noi è chiamato, con i suoi comportamenti digitali, a rendere meno tossico e più vivibile l'ambiente virtuale».
L'irruzione dell'Intelligenza artificiale potrebbe ingigantire i problemi di sicurezza e non solo?
«L'IA è un campo in rapida evoluzione che ha il potenziale per trasformare molti settori, compreso il giornalismo. Tuttavia, è importante valutare il suo impatto in modo equilibrato e realistico, anche perché se essa non rispetterà i diritti fondamentali delle persone, compresi quelli relativi alla dignità, alla privacy, all'onore, all'immagine alla non discriminazione e alla proprietà intellettuale, diventerà il killer del benessere digitale. I prossimi 12-24 mesi saranno decisivi perché in questo lasso di tempo dovranno essere date risposte sull'impostazione degli algoritmi attraverso i quali sarà sviluppata l'IA. Tutto dovrà essere fatto con il massimo di trasparenza e di condivisione, altrimenti ne andrà di mezzo la centralità della persona».
In pratica, che cosa possiamo aspettarci?
«Se parliamo di informazione è improbabile che l'IA soppianti completamente il lavoro intellettuale dei giornalisti, anzi può essere una risorsa nel lavoro di reperimento di informazioni e di costruzione dei resoconti. C'è ovviamente anche il rovescio della medaglia: l'IA può diabolicamente mettersi al servizio della produzione di fake-news e di disegni di disinformazione ed è per questo che occorre cautela e sano discernimento».
Tuttavia, c'è un problema di controllo democratico sull'Intelligenza artificiale. Chi può farlo concretamente se i "padroni" sono pochi e potenti gruppi della New Economy, i famosi Giganti del Web spesso più influenti degli Stati, che già oggi esercitano pesanti condizionamenti e orientano il dibattito pubblico, soprattutto in Occidente?
«È un rilievo fondato, ma si spera di poter provare un punto di equilibrio grazie al Regolamento europeo che fissa obblighi di trasparenza e di riconoscibilità dell'IA, soprattutto di quella generativa. Le aziende come Microsoft e OpenAi devono sottostare a precisi parametri e vincoli, devono dar conto di quello che mettono dentro l'IA. Un po' come la tracciabilità del cibo che impone di rendere noto quali componenti sono stati utilizzati per arrivare al prodotto finito. Analogamente, per l'IA bisognerà dire quali elementi sono stati immessi nel sistema e come. Allo stesso tempo servirà una rendicontazione stringente dei meccanismi di funzionamento. È una situazione che dovrebbe normalizzarsi nei prossimi 2-3 anni».
Chi sarebbe in grado di esercitare controlli così stringenti?
«L'Europa può farlo ed è nelle condizioni di agire da apripista globale. Ma alcune significative prese di posizione forti arrivano anche dagli Stati Uniti, dove il New York Times ha intentato una causa contro OpenAi e Microsoft per il riconoscimento del diritto d'autore sugli articoli dei giornali saccheggiati. Molte altre richieste risarcitorie sono state già avviate da testate giornalistiche e produttori di contenuti in diversi Paesi. In Germania, la Bild si sta muovendo per un accordo sempre con OpenAi e Microsoft, tipo se usate i nostri articoli dovete pagare'. Insomma, qualcosa si muove e non è immaginabile che l'IA abbia carta bianca e agisca secondo la regola del libero arbitrio. Non penso che nelle società democratiche possa accadere qualcosa di simile».
In conclusione, quali indicazioni concrete ci vengono da "I (social) media che vorrei"?
«Mi piace definire questo libro come l'Agenda digitale della legislatura in corso, perché nel testo abbiamo offerto a governo, istituzioni, enti, riflessioni, analisti, proposte da attuare nei prossimi anni anche nell'ambito dei progetti del Pnrr sulla transizione digitale. Il fine è migliorare e far crescere la digitalizzazione in Italia in quanto leva per lo sviluppo della società. In ogni ambito, pensiamo soltanto alla sanità, ai trasporti e ad altri settori nevralgici della vita sociale, può imprimere un'accelerazione decisiva ai processi di crescita inclusiva e solidale. E nel mondo dell'informazione può consentire di democratizzare ulteriormente i meccanismi di produzione e diffusione delle notizie. È una sfida epocale che dobbiamo saper cogliere e incanalare nella direzione giusta per il bene di tutti, non di pochi».
 
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