Flavia Pennetta: «Rallentiamo, il pianeta ci chiede aiuto. Tornare in campo? Non se ne parla»

Flavia Pennetta: «Rallentiamo, il pianeta ci chiede aiuto. Tornare in campo? Non se ne parla»
di ROSARIO TORNESELLO
7 Minuti di Lettura
Domenica 10 Maggio 2020, 15:21 - Ultimo aggiornamento: 11 Maggio, 14:44
Le possibilità di arrivare sino alla fine sono rimesse, se la specializzazione esiste, agli angeli custodi dei bimbi al risveglio mattutino, quando le creature sono piene di energia dopo una notte a ricaricar le batterie. Se faranno il loro dovere, più custodi che angeli, avranno un nuovo, devotissimo, fervente seguace in terra. Altrimenti, amici come prima. L’alternativa è riposta nell’irriducibile santa pazienza delle mamme. Senza trascendere in speranze metafisiche a sfondo mistico, sarà bene puntare decisamente sulla seconda opzione, così, a fiducia. L’intervista, date le condizioni, è una discesa a rete dopo la prima di servizio: devi essere pronto a chiudere lo scambio con volée o smash, ché se perdi tempo, tentenni o inciampi vieni infilato e addio punto, gioco, set, incontro. Qui oltre la rete, metaforica e telefonica, si moltiplicano persone e personaggi: la donna, la campionessa, la madre, la moglie. Ma anche la figlia e la nipote. Una e centomila, se il Maestro permette la variazione sul tema. Quante vite dietro una voce sola.
Flavia Pennetta, come va? Lei, i suoi bambini, suo marito, come state?
«Bene. Stiamo tutti bene, in formissima, nonostante questo periodo così brutto. Non è ancora finita, perciò siamo sempre all’erta».
Dove siete?
«In Liguria, ad Arma di Taggia. Qui è nato Fabio, c’è casa sua. Siamo arrivati dopo la vittoria a Cagliari contro la Corea, decisiva per l’accesso alle Finals di Coppa Davis, e non ci siamo più mossi. Appena in tempo per il lockdown».
Suo marito, Fognini, in queste settimane avrebbe dovuto difendere il titolo di principe di Montecarlo, conquistato lo scorso anno dopo lo strapotere di Rafa Nadal.
«Non ha mai smesso di allenarsi, ma finalmente questa settimana è potuto tornare in campo. Non lo faceva da marzo, dopo gli incontri in Davis. È divertente vederlo. Dopo due mesi, una gioia».
Prima pausa. Passa Federico, il primogenito. Flavia e Fabio si sono sposati a Ostuni nel giugno 2016. Lei aveva appena chiuso col tennis giocato dopo la marcia trionfale agli Us Open, vinta battendo in una storica finale tutta italiana l’amica e compagna di tanti successi Roberta Vinci, l’una di Brindisi, l’altra di Taranto. Era il 12 settembre 2015, sembra ieri: alzando il trofeo al cielo, nell’“Arthur Ashe Stadium” pieno di tifosi e appassionati e di infinita emozione, Flavia annunciò in lacrime l’addio all’attività agonistica. Neanche un anno per i fiori d’arancio. Un altro per Federico. Passa il piccolo, lei gli parla in spagnolo. I bambini - il maschietto tre anni, la femminuccia quattro mesi - sono nati a Barcellona, dove la coppia risiede. «Abbiamo scelto così: con i nostri figli io parlo in spagnolo e Fabio in italiano». Scambi bilaterali e doppio misto. Ricominciamo.
Suo marito si prepara a tornare in campo, e lei? Si susseguono le voci su un suo clamoroso rientro.
«See... Falli parlare. Continuano, insistono. Lasciali fare, devi dire sempre sì».
Scherzi a parte...
«Mio marito si diverte, ma finisce lì. Mia madre mi conosce bene e sa quanto sia un’ipotesi impossibile, non solo improbabile».
E suo padre?
«Beh, con papà è diverso: lui ci spera sempre».
Ha chiuso nel migliore dei modi una carriera incredibile. Cosa le manca di più del tennis?
«La routine di allenamento, l’impegno fisico. Il mio staff: l’allenatore, il massaggiatore, il preparatore fisico. Il nostro confronto continuo».
E di cosa, invece, non sente l’assenza?
«Della competizione, dello stress agonistico. Non mi manca affatto».
Programmi per il futuro?
«Adesso nessuno. Mamma full time, con questa bellissima bimba che si è appena svegliata».
Seconda pausa. Le moine materne hanno idioma ancestrale e perciò internazionale. Non esiste un modo per tradurle, non ci sono accordi di coppia per esprimere in lingua madre il sentimento. Farah è arrivata lo scorso dicembre, due giorni prima di Natale, a completare il Grande Slam delle iniziali, lei quarta “effe” in famiglia, almeno nel nucleo ristretto.
La quarantena ci costringe a stare in casa, a limitare contatti e spostamenti. Di cosa sente il bisogno?
«Mi manca Brindisi. Mi manca la mia terra, di brutto. A parte mio marito e i miei figli, il mio pensiero è per i miei genitori, i miei nonni, la mia città. E questo mi commuove, molto».
Come passa le giornate, impegni materni a parte?
«Mi alleno tutti i giorni, almeno un’oretta, anche per scaricare la tensione. Il mio corpo ne sente l’esigenza. Mi alzo presto la mattina per approfittare della quiete e dedicarmi del tempo. Ma lo faccio anche con i piccoli svegli e pimpanti: in braccio o sulla schiena, li uso come pesi. Tappeto, musica e vai».
Un occhio particolare all’alimentazione?
«Con Fabio avevamo un doppio obiettivo: non perdere peso né prenderlo. Siamo stati bravi: ci siamo riusciti. Eppure ho cominciato a cucinare anche piuttosto bene. Io sforno tortine, lui è bravo col pesce».
Come ci cambierà quest’esperienza?
«Abbiamo vissuto dando sempre tutto per scontato. Adesso, invece, che siamo chiusi, fermi, con degli obblighi da rispettare, possiamo riflettere sui tanti risvolti dell’esistenza. Così anche l’idea di un pranzo con amici diventa pura bellezza. Quasi una conquista».
Cosa ci insegna tutto questo?
«Si può vivere anche a un ritmo diverso. Eravamo sempre tutti in giro, perennemente di corsa, quasi in affanno, dedicando poca attenzione ai bambini. Invece loro, i piccoli, hanno bisogno di tempo. Si può andare più piano, ecco; si può vivere benissimo senza dover sempre uscire, evitando così anche di inquinare. Non stiamo lasciando un mondo bellissimo».
La rivolta della natura?
«In questi due mesi la terra ci ha ringraziato. Basta guardarsi intorno: il cielo, il mare, la campagna. Forse il pianeta ci stava chiedendo aiuto, e da tempo, e noi abbiamo fatto orecchie da mercante. Così ci ha pensato da sé».
Come si trova in questa “rivoluzione”?
«Sono fortunata perché passo tantissimo tempo con i bambini. In genere sono pigra, prendo l’auto per qualsiasi spostamento. Userò di più le gambe, se potrà contribuire a garantire ai nostri figli un futuro migliore. Ho avuto un’infanzia bellissima; vorrei per loro la stessa cosa».
Terza pausa. «Mo’ lui, il maschietto, si prende uno sculaccione...», espressione riflessivo-impersonale da tutti pronunciata almeno una volta, congegnata ab origine in modo da lasciare dubbi sulle reali intenzioni afflittive. L’esposizione sanguigna, peraltro, non in spagnolo secondo le regole della casa, si presterebbe comunque a obiezione: l’avvertimento, così come formulato dalla madre, potrebbe non essere compreso dal piccolo destinatario, innocente per età e simpatia, giacché l’italiano è appannaggio del padre. Tuttavia, una domanda: nell’ipotesi, la sanzione corporale segue i movimenti del dritto incrociato o del rovescio a due mani lungolinea? Risposta: «Dritto, sul popò. La verità è che faccio finta: dico, ma poi gli arriva solo un buffetto sul sederino. Dovrei essere come la mamma della mamma, un tipo tosto. Quand’è nato Federico è rimasta sorpresa: “Noi non facciamo maschi”, ha sentenziato». Andiamo avanti. Cambio campo.
I tornei si fermano, i circoli tennis riaprono. Cosa ne pensa?
«Nelle grandi competizioni sarà difficile garantire la sicurezza al cento per cento. Bisogna avere pazienza, non fretta. Ne va della salute di tutti. Capisco ci siano tantissimi interessi, immagino quanti soldi si siano persi. E comprendo bene la difficoltà di tante persone. Non parlo dei giocatori al top ma degli atleti con maggiori difficoltà, degli allenatori, dei preparatori atletici».
Tutti i più grandi appuntamenti sono saltati. Gli Us Open, dove lei ha trionfato, in programma a fine agosto, ancora no.
«Gli Usa vivono una situazione estremamente critica. Gli impianti sportivi di Flushing Meadows ora ospitano un ospedale da campo. Si deciderà a fine maggio, ma non credo si farà. Per me l’anno è finito. È giusto riprogrammare dal 2021».
Si ipotizza un trasferimento degli Internazionali d’Italia da Roma a Torino, al coperto, in autunno.
«Mi sembra improbabile. Da giocatrice non ci andrei mai».
Gli appassionati, intanto, possono tornare a calcare i campi.
«Va benissimo. Dal punto di vista della pratica agonistica, è uno sport sicuro. Il problema non è la partita in sé. Possiamo andare al circolo tennis di Brindisi, giocare, fare la doccia e andare via. Ma nel tennis il problema sono gli spostamenti e gli spazi in comune: gli hotel dove dormi, i ristoranti dove mangi, i giocatori con cui ti confronti, ognuno con la sua équipe in giro per il mondo».
Il calcio, invece, fatica a trovare una soluzione.
«Troppi interessi economici. Pure lì suggerirei stessa soluzione: riprendere solo quando si potrà giocare in sicurezza. Scelte sbagliate verrebbero pagate a caro prezzo».
Stenta a ripartire tutto. L’economia, il turismo... La Puglia sulle vacanze ha costruito buona parte delle proprie fortune.
«È tutto molto triste. Seguo le notizie, vedo le immagini. Conosco benissimo alcune delle nostre realtà più belle. So quanto hanno investito; la fatica, il lavoro e l’entusiasmo. Bisogna essere intelligenti, pensare al futuro senza perdere la voglia di fare. Le doti non ci mancano. La bellezza e il paesaggio neppure. Torneranno tutti qui».
Presto potremo spostarci anche tra regioni, in Italia. Quel giorno cosa farà?
«Volerò subito a Brindisi. Un bel pranzetto con la mia grande famiglia. La parmigiana della mamma. Le polpette della nonna. La focaccia alle cipolle della zia. Preparate tutto: arrivo».

 
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