Eugenio Scalfari a Lecce/l'intervista
«Ho una vera passione per l'etica»

Eugenio Scalfari
Eugenio Scalfari
di Claudia PRESICCE
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Venerdì 26 Ottobre 2012, 12:21 - Ultimo aggiornamento: 1 Novembre, 20:02
LECCE - La sala uno del Massimo di Lecce per Eugenio Scalfari. Oggi alle 17.30 il celebre giornalista presenter il Meridiano Mondadori che gli stato dedicato. Con lui Paolo Mieli e Alberto Asor Rosa. A moderare l’incontro sar Gianluigi Pellegrino. Titolo dell’appuntamento, promosso dalla libreria Liberrima, “L’Italia di Scalfari. Mezzo secolo tra pensiero e politica”.

Per accogliere Scalfari che Lecce accoglie sempre con entusiasmo, questa volta è stato scelto lo “spazio” del Multisala, lo stesso che qualche giorno fa ha accolto Giuliano sangiorgi dei Negramaro.

Il volume dei Meridiani Mondadori “La passione dell’etica. Scritti 1962-2012” è suddiviso in due sezioni: la prima contiene una selezione dei più importanti testi giornalistici, la seconda comprende i libri di Scalfari degli ultimi vent’anni.



Mezzo secolo di giornalismo, una voce libera e puntuale, infaticabile ed incisiva, come una goccia costante: Eugenio Scalfari, classe 1924, giornalista appassionato e rigoroso, osservatore di vezzi e virtù del Belpaese dalla metà del secolo scorso, scrittore col pallino della speculazione filosofica, si è guadagnato un posto d’onore nelle librerie italiane con l’uscita del suo “personale” Meridiano Mondadori, un volume della prestigiosa collana dedicata ai letterati più illustri, agli intellettuali più importanti e alla loro opera omnia.

Nel caso specifico, il Meridiano raccoglie una buona parte dei libri di Scalfari e, ovviamente, solo una novantina delle migliaia di articoli con i quali ha raccontato e commentato l’Italia dagli anni Cinquanta ad oggi.

Direttore, è contento di avere un Meridiano tutto suo? Che cosa le piacerebbe che le venisse riconosciuto con quest’opera?

«Beh, ho fin troppi riconoscimenti e sono già soddisfatto. Il Meridiano ha un valore particolare storicamente, non perché lo abbiano dedicato a me, ma perché è come una Pléiade italiana, la prestigiosa collezione francese degli autori classici - in gran parte antichi e morti, qualcuno vivente, con l’edizione dell’opera omnia di ciascuno - che esiste da quasi un secolo, già Nouvelle reveu française e poi editore Gallimard. Con quest’ultimo, tra l’altro, ho recentemente avuto la soddisfazione di pubblicare il mio libro “Per l’alto mare aperto” che è uscito dieci giorni fa a Parigi. Ecco: i Meridiani sono la Pléiade italiana, con qualche decennio in meno, ma sono fatti con gli stessi criteri, cioè un’attenzione “colta” alla parte bibliografica dove io posso vantare un centinaio di pagine di “note al testo” di Angelo Cannatà, efficacemente esplicative, ed ho una bellissima introduzione di Alberto Asor Rosa. E poi cinquecento delle duemila pagine del libro sono dedicate ad una scelta di articoli miei, da quando ho iniziato a scrivere sull’Espresso sino ad oggi».

A scorrere le pagine del libro si ha più contezza di quanto lei, che è un modello per chi fa il giornalista, abbia scritto e fatto. E viene da chiedersi quanto contava quando ha iniziato, e quanto conta oggi nel nostro Paese, la voce di un intellettuale - osservatore come lei.

«Conta quello che contano il pensiero e la riflessione, la ragione, rispetto all’emotività. L’emozione copre un tempo molto breve e cambia facilmente e rapidamente, crea decisioni emozionali che poi riflettono pure una parte del nostro inconscio. Invece il pensiero che pensa ha una durata, perché ha una vista più lunga. Gli effetti delle emozioni sono visibili al momento, mentre gli effetti del pensiero sono meno visibili, perché si verificano più lentamente però sono più duraturi perché segnano un’epoca. Questa è la differenza».

In tutti questi anni, lo dice Asor Rosa, lei ha faticato e fatica, raccontando l’Italia, a ricondurla entro schemi “normali o europei”. Si è fatto un’idea del perché accade questo?

«L’Italia come ogni Paese ha una sua identità collettiva, c’è l’identità degli individui e quella di una città, di una regione, di una nazione. Le identità collettive risultano da una media, specie in un paese geograficamente lungo come l’Italia. Siamo un paese molto meticcio, nel senso che gli italici come etnia fissa individuabile, sono un concetto molto labile viste le ondate di greci, arabi, normanni, svevi, spagnoli, francesi ecc. che si sono mescolati qui nei secoli. Tuttavia l’identità italiana esiste e non è delle più belle, come in ogni individuo c’è il bene e il male, però predomina in noi un sentimento anarcoide che ci distingue dagli altri occidentali. Lo Stato da noi è arrivato molto tardi, appena centocinquanta anni fa, che non sono niente, è arrivato lo Stato unitario: è stato ed è vissuto da una grande maggioranza come un corpo estraneo a se stessi e molto spesso ostile, perché vuole le tasse, mette in prigione, un tempo portava via per la leva militare… Insomma alla fine agli italiani lo Stato non piace, anche se una certa parte degli italiani non trascurabile lottò addirittura per avere uno Stato unitario e tuttora è forse aumentata, ma è pur sempre una minoranza che si sente spesso straniera in patria, perché la maggioranza degli italiani è anarcoide. Qui ognuno vuole fare da sé e il requisito più apprezzato è la furberia che non sempre però coincide con l’intelligenza. Gli italiani sono un popolo furbo, ma non sempre intelligente».

Ma la furbizia non le sembra una caratteristica più recente, legata all’era dell’individualismo?

«No, gli italiani sono sempre stati furbi. Se parliamo di opinione pubblica italiana adesso è vasta, anche se molto emotiva, molto. Ma fino a sessant’anni fa le cosiddette plebi erano composte da contadini analfabeti che pensavano a soddisfare bisogni primari come mangiare, ripararsi dal freddo e fare l’amore. Tuttora questo avviene nei paesi extraeuropei di grande povertà, dove si alza a stento la testa dalla ciotola di riso. In Italia il benessere medio è molto aumentato, ma le caratteristiche della furberia restano».

Parlando di furberie, vengono alla mente i dibattiti dei nostri giorni, quelli politici per intenderci. Che cosa pensa lei ad esempio della tanto decantata “rottamazione”, dell’alba delle primarie, della fine del berlusconismo?

«Sa che la parola rottamazione nasce legata all’automobile che quando è vecchia si svuota dei possibili pezzi di ricambio utilizzabili e poi viene triturata. Ora onestamente triturare un partito non mi sembra un’idea geniale anche se la parola emotivamente colpisce. Quello che l’ha usata politicamente e continua ad usarla, fa appello alle emozioni e non al pensiero e per questo a me non piace. Non a caso è piaciuto a Berlusconi perché anche lui ha lavorato sulle emozioni e non sul pensiero. Purtroppo quando si lavora sulle emozioni si lavora sul peggio che c’è in ciascuno di noi, non sul meglio».

Non sarà stata una scelta facile selezionare gli articoli per il Meridiano.

«La curatrice, Renata Colorni, una persona di prim’ordine, ha deciso che ci volevano anche gli articoli oltre ai libri. Ha detto che il Meridiano fa conoscere un autore attraverso le sue opere e per uno come me non bastano i libri più significativi, perché per metà sono scrittore di filosofia o di pensieri, ma per l'altra metà sono giornalista. Ma io di articoli ne ho scritti a migliaia facendo questo lavoro da sessant’anni… Però ne ho dovuti scegliere ottantotto e ho cercato quelli scritti in occasione di una svolta, politica, culturale o economica, del nostro Paese o del mondo circostante, o quelli che addirittura in qualche modo l’avessero provocata una svolta, cosa che è pure avvenuta».

Nel volume ci sono comunque le pagine a lei più care.

«Sì, ci sono i miei cinque dialoghi con il cardinale Martini che rappresentano un gioiello per la mia carriera giornalistica, un confronto ripetuto con un sacerdote gesuita, un arcivescovo che ha rappresentato lo spirito più avanzato e più moderno della Chiesa e per questo non è stato molto gradito alla gerarchia, ma molto amato dai fedeli. Il confronto con me non credente e le nostre affinità, nonostante la profonda diversità tra noi, è una cosa che mi sta molto a cuore e quindi questi articoli ci sono tutti. Poi c’era da fare la cronologia: per i classici se ne occupano redattori specializzati, ma se l’autore è vivo viene chiesto a lui di fare una sorta di auto-cronologia. Ma io non sono capace, non ho un diario, e quindi ho proposto di fare una mia autobiografia, cioè un racconto con date approssimative, tipo: nei primi anni Settanta mi accadde questo... Per il mestiere che ho fatto e la lunga vita che finora è trascorsa ho fatto davvero tanti incontri con persone di rilievo, nel bene e nel male, della storia italiana e non. Questi incontri, con un mio giudizio sui personaggi, più o meno ci sono tutti in centotrenta pagine inedite, cioè un libro inedito tra pagine già pubblicate».

“La passione dell’etica” è il titolo molto bello del suo Meridiano: ma suonerà un po’ anacronistico nell’epoca del degrado?

«Titolo bello, non mio ma di Renata Colorni. Io ho una passione dell’etica perché è un valore che si occupa della convivenza degli individui tra di loro, noi siamo una specie socievole e per convivere con gli altri ci vogliono delle regole che assicurino una certa visione del bene comune. Però l’etica è anche cosa molto variabile, da individui, a luoghi, a tempi. Dall’etica romantica sino a poco tempo fa, ad esempio, l’omosessualità era considerata imbarazzante, mentre in epoca greca e anche romana non si poneva il problema, non era un’eccezione né una cosa imbarazzante, faceva semplicemente parte dei rapporti nella categoria dell’erotismo. Oppure c’erano dinastie, come quelle egiziane, che prevedevano e sacralizzavano il matrimonio tra fratelli e sorelle per mantenere una dinastia. Questo per dire quanto sia variabile il concetto di etica e la mia passione per l’etica riflette il mio tentativo di studiarla, come ho cercato di studiare tutti gli istinti. La materia del mio pensiero e di tutti i miei libri è lo studio dell’inconscio e di come l’inconscio agisce quando arriva a contatto con la razionalità. Il giornalismo in genere, e il mio in particolare, è un viaggio nel mondo, al di fuori di noi, tra quello che ci circonda, mentre i miei scritti sono un viaggio dentro me stesso. Io ho fatto quindi un viaggio all’esterno di me attraverso il giornalismo e un viaggio all’interno di me nei miei libri. Il linguaggio che adotto quando scrivo sul giornale e quello che adotto quando scrivo i libri risultano quindi profondamente diversi».

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