Digienis, il bell’eroe nella Castro bizantina

Digienis, il bell’eroe nella Castro bizantina
di Francesco D’ANDRIA
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Venerdì 25 Giugno 2021, 05:00

Ormai, specie dopo il riconoscimento della rotta di Enea da parte del Consiglio d’Europa, molti conoscono Castro per la scoperta del santuario di Atena, che ha reso concreta la descrizione, nell’Eneide, di questo luogo sulla costa salentina, in cui Virgilio immagina che sarebbe sbarcato l’eroe troiano con il suo seguito di migranti, fuggiti da Ilio, dopo che le fiamme appiccate dai Greci avevano cancellato la più grande metropoli del Mediterraneo antico.

Le ricerche archeologiche

Ma un altro eroe ha restituito la terra di Castro, feconda di racconti della sua storia; qualche anno fa, nel fondo Capanne, durante gli scavi condotti da Amedeo Galati e dal suo gruppetto di giovani archeologi, era stata identificata una buca di scarico del XII secolo, nel tempo dei Normanni e degli Svevi. All’interno erano numerosi frammenti di vasi, che l’occhio sapiente di Patricia Caprino aveva potuto riconoscere come provenienti dalle officine della Grecia e delle zona orientali del Mediterraneo, ricomponendo piatti, con invetriatura verde e crema, sui quali erano graffiti eleganti motivi floreali, a testimoniare il gusto raffinato delle tavole imbandite nel mondo bizantino. Ma alcuni frammenti avevano attratto l’attenzione degli archeologi per il colore giallo crema della vernice: recavano incisa la figura di un guerriero, campito al centro di una grande coppa; con il volto inquadrato da una folta capigliatura di ricci, il personaggio indossa una cotta di maglia, a squame in metallo, che copre tutto il corpo, sotto un alto corsetto, terminante in un gonnellino pieghettato. Non ha un atteggiamento pacifico, anzi, con uno spadone in una mano ed un pugnale nell’altra, appare impegnato in un combattimento con un drago serpentiforme dalla testa canina da cui pende una lunga lingua; le sue spire circondano quasi completamente il nostro eroe nel momento in cui la spada sta per colpire il collo del mostro.

La scoperta

Fu proprio Patricia a riconoscere nel personaggio Digenis Akritis, il protagonista di un romanzo che ebbe una grande fortuna nell’Impero bizantino a partire dal X secolo, quando la dinastia macedone conduceva campagne militari lungo i confini orientali, attestandosi sulla linea dell’Eufrate, dove le truppe addestrate degli Akriti contrastavano con successo gli invasori arabi.

Si tratta di una scoperta eccezionale, sinora non valorizzata a sufficienza, ma che conferma ancora una volta il ruolo del Salento nel Medioevo, punto di incontro di culture diverse e centro di diffusione della raffinata civiltà bizantina verso l’Occidente. Si tratta di una scoperta eccezionale perché i vasi con la rappresentazione dell’eroe si contano sulla punta delle dita e sono presenti soltanto nelle grandi città della Grecia come Atene e Corinto. Quello di Castro è l’esemplare più ad Occidente; infatti in tutta l’Italia non si registrano ritrovamenti analoghi. Ma nel Salento la saga di Digenis circolava non solo nelle immagini dei vasi: tra i manoscritti greci dell’Abbazia di S.Nicola di Casole era presente anche il testo del romanzo, forse una delle più antiche copie. 

Eroe invincibile e... rubacuori

Ma chi era Digenis per essere così popolare in tutti gli ambienti, non solo in quelli colti, dell’Impero di Costantinopoli? Possiamo confrontarlo con il nostro Rolando, il protagonista di tante avventure della Chanson des geste nel Medioevo d’Occidente; Digenis non è uomo della corte di Costantinopoli, ma si dichiara Akritis, così erano chiamati i combattenti sulle frontiere orientali, dove i grandi signori feudali sostenevano, in nome dell’Imperatore, l’eterna lotta contro i musulmani. I suoi nemici sono anche gli apelati, i briganti, ladri di bestiame e razziatori che infestavano le contrade orientali, tra i deserti di Siria e l’Eufrate. Essere uomo di confine è anche scritto nel suo nome: Digenis significa infatti «dalla doppia stirpe», suo padre era l’emiro arabo Musur, che rapisce la figlia di un generale greco, della stirpe nobilissima dei Ducas, se ne innamora e non solo la sposa, ma si converte anche al cristianesimo.

Da questa unione nasce Digenis, crescendo presto in forza e bellezza. Così il poema descrive il giovane: «Aveva una chioma bionda e ondulata, occhi grandi, un viso bianco e rosa, sopracciglia nerissime, petto largo e candido come un cristallo… Nella destra brandiva una lancia verde, di fabbricazione araba, coperta di lettere d’oro. Il suo viso era delizioso, amabile a prima vista, la corporatura elegante e perfettamente proporzionata. Tra i suoi scudieri brillava come un sole».

Non stupisce che una tale bellezza passasse inosservata al gentil sesso e infatti di lui si innamora la bellissima Eudossia, figlia di un governatore della provincia, gelosissimo, che faceva punire con la morte coloro che tentavano di avvicinarla. Ma il nostro eroe è irresistibile e, come Romeo, canta una canzone d’amore davanti alla finestra della bella, accompagnandosi con la lira e cercando di convincere la nutrice a farlo incontrare con la fanciulla. Quando lei alla fine si affaccia, egli si alza in piedi sul cavallo e riesce ad abbracciarla, ma poi deve combattere con i soldati del governatore, battendosi come un leone. Alla fine la spunta e riesce ad impalmare la bella, ricevendo dal padre anche una ricchissima dote. 

Ma altre bellezze attentano alla sua fedeltà e tra esse si distingue una amazzone, Maximò, che si mette a capo degli apelati; il nostro li sbaraglia, restando tuttavia sedotto dalla bellezza della vergine guerriera. Come riconosce egli stesso: «Era giovane e bella. Seducente e vergine: il mio spirito cedette ai suoi desideri peccaminosi». E quando la moglie Eudossia lo rimprovera del tradimento, chiamandolo affettuosamente «mio caro tacchino» (per i bizantini era un’espressione molto erotica), egli tuttavia nega con una menzogna geniale, affermando di aver soltanto aiutato la guerriera ferita.

Le imprese leggendarie

Tuttavia Digenis è un eroe a tutto campo e, già a dodici anni, ammazza un orso con un pugno, squarcia in due una gazzella dopo averla superata nella corsa, uccide un leone con un solo colpo di spada. Briganti e guerrieri arabi fuggono al solo sentire il suo nome «…scappiamo, o siamo tutti morti». Come Sigfrido, nella nordica saga dei Nibelunghi, combatte contro un drago a tre teste che vomita fuoco e fiamme e che, muovendosi, scuote la terra con rumore di tuono.

Dobbiamo immaginare che nelle case di Castro e di Otranto la sera, intorno al focolare, si recitassero a memoria i versi del poema epico bizantino e che l’immagine dell’eroe fosse presente non solo nella ceramiche, ma nelle miniature dei libri; e forse, nelle stoffe, erano ricamate le sue storie, mentre combatte contro il drago, le belve feroci e contro gli ancor più feroci briganti apelati.

Oggi da una delle vetrine del Museo di Castro, nel Castello aragonese, Digenis ci parla attraverso i frammenti originali della coppa, che è pure stata riprodotta dalla ceramista di Grottaglie, Maria Esposito, affinché i visitatori, per fortuna sempre più numerosi, possano più facilmente ascoltare il racconto di un altro eroe, il quale, dopo Enea, sbarcò a Castro, dalle lontane contrade d’Oriente.
 

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