Buttafuoco a Lecce: «I capolavori di Bene eredità senza uguali»

Buttafuoco a Lecce: «I capolavori di Bene eredità senza uguali»
di Massimiliano IAIA
5 Minuti di Lettura
Domenica 26 Novembre 2023, 05:00

«Guai a fare incetta di simboli, lì dove ci sono i significati». Se ne trovano tanti, nel capolavoro di Carmelo Bene, “Salomè” (1972), proiettato ieri mattina al Museo Castromediano di Lecce, alla presenza del giornalista e scrittore Pietrangelo Buttafuoco, che al termine della visione ha commentato l'opera e risposto alle domande del pubblico. Assieme a lui Luigi De Luca, direttore del Polo biblio-museale di Lecce, per un evento di Ama, diretta da Franco Ungaro, nell’ambito del progetto “Un teatro perBene”. «Un progetto che sarà portato anche a Tirana e Cracovia, ecco perché la proiezione è avvenuta con i sottotitoli in inglese», ha spiegato Ungaro, mentre De Luca si è soffermato sulla delicatezza della responsabilità di conservare, gestire e valorizzare lo straordinario patrimonio artistico e culturale del “geniaccio”, nato a Campi Salentina e scomparso poco più di venti anni fa.

Cosa ha detto

«Non possiamo definirlo semplicemente cinema, non semplicemente teatro - ha detto Buttafuoco riferendosi allo spettacolo messo in scena dallo stessa Bene otto anni prima - e tantomeno un esercizio poetico, ma un vero e proprio rito, in cui Bene officia e reitera il sacrificio». Un lavoro monstre, una fatica di 70 giorni di montaggio, tre giorni e tre notti per ricavare 20 secondi, con 6.000 inquadrature, «per costruire il percorso eucaristico, senza apparire blasfemi, di un’unica voce, quella di Bene appunto, che raduna attorno a sé non solo gli altri attori, ma anche i tecnici, i fonici, coloro i quali nel parco luci riescono con sapienza artigiana fanno sì che sia il colore a tratteggiare il percorso di un destino totalmente greco».
È questo il punto, questa la chiave di lettura dell'intellettuale, che per riportare il discorso sul territorio natìo dell’artista si sofferma con una digressione sul percorso che va dall’aeroporto di Brindisi a Lecce: «A un certo punto, c'è una sorpresa per i visitatori, uno svincolo con su scritto Grecia. L'essenza stessa dell'opera di Bene è l'ovvia consapevolezza della nostra identità incardinata nel senso greco, nella parola, nel logos, nella capacità di essere consapevoli del rito sacrificale».
Di Bene, infatti, va sottolineata proprio, nella realizzazione dell'opera, la straordinaria capacità di offrirsi al sacrificio: «Durante le riprese fu sottoposto a continue trasfusioni, ogni costruzione sul set era un drammatico corpo a corpo tra sé e il sé intorno agli altri, alla comunità che aveva radunato per il film.

Anche il lavoro dei medici è stato fondamentale».

Le citazioni

Non manca l'ironia, come la citazione rappresentata dalle note di “Abat jour”, brano reso ancora più celebre dalla famosa scena dello spogliarello di Sofia Loren in “Ieri, oggi e domani”, davanti a uno straordinario Marcello Mastroianni che la guarda estasiato. Ma lì c'è il fioretto, nulla è possibile finché il giovane seminarista non abbandona l'abito talare, in questo caso invece spazio alle mille tentazioni, fa notare Buttafuoco. «Il massaggio della schiena, la voluttà, non la testa piuttosto i pavoni, piuttosto il diamante, piuttosto gli uccelli fantamasgorici, piuttosto la collana, e dall’altro il sacrificio, il momento in cui assistiamo – e qui c'è l'intrecciarsi dei piani – all'autocrocifiggersi».
Importante rilevare anche la differenza tra l’opera cinematografica e quella teatrale. Un doppio registro che permette di distinguere i due diversi concetti di presente: «Il teatro nell'immediatezza del qui e ora, che annienta Benjamin sulla riproducibilità dell'opera d'arte, che offre un presente che è futuro. Il cinema al contrario impone un presente, uno sciorinare di immagini, che immediatamente è un museo. Abbiamo assistito a qualcosa che è già consegnato al passato».
Il film si conclude con la scena della danza dei sette veli («Estenuata, eroticissima, pazientissima»): «Velo dopo velo accompagna alla radura e quindi alla luce, quest'ultima che assorbe il colore, per poi giungere all'atto finale, che è il piatto d'argento su cui poggiare la testa del Battista, con i due astri che si scambiano di ruolo: uno diventa nero, l'altro si annulla nel biancore, è lo strazio su cui la tabula rasa fa ricominciare il passo danzante del sacro».

Anche la sua terra ha un compito particolare nel tramandare l’eredità di Bene. «Lui - ricorda Buttafuoco - ebbe una precisa definizione: “Il Sud nel Sud dei Santi”, è una dimensione in cui non c'è lo sforzo antropologico, ma la consapevolezza di una sacrissima destinazione dove ogni gesto, ogni paesaggio, ogni progetto diventa visione e vantaggio per costruire un'esistenza che sia definitivamente proiettata in una prospettiva universale, che rifugge da qualunque sociologismo e da qualunque politica politicante».
Salomè fu un’opera contestata già alla prima: a Venezia fu il pandemonio, con violenze gratuite, spunti e insulti dal pubblico inferocito. E un artista come Bene sarebbe contestato anche oggi, secondo Buttafuoco, anzi anche di più: «A quei tempi l’Italia era ancora attardata a fare le celebrazioni del neorealismo, pensiamo a “Sciuscià”, non a caso la citazione di Abat Jour nasce anche per realizzare un parallelo con una scena molto popolare. Bene sarebbe contestato se solo ci fosse su di lui l’occhio della cancel colture. “Che cosa ha seguito, Bene, facendo questo film?”, gli chiese una signora. “Certamente non seguivo lei”, rispose seccamente l'artista». «C'è anche quest’aspetto – conclude Buttafuoco – in uno come Carmelo Bene, che non ha eguali. Non esiste altro attore che abbia un archivio, che abbia prodotto una mole tale su cui impegnare gli studiosi. Se già con Platone la scrittura degradava l'oralità e la perfezione della parola, figurarsi adesso, con l’infinità dei dati e la moltiplicazione dei codici che hanno determinato un’apnea sulla quale Bene si sarebbe molto divertito. A modo suo, ovviamente».

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