Faber, la Buona Novella è graphic novel a 50 anni

Faber, la Buona Novella è graphic novel a 50 anni
di Eraldo MARTUCCI
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Domenica 1 Novembre 2020, 17:13

Sono pochi quei capolavori che, estrapolati dal loro contesto originario, riescono comunque a trasmettere la propria forza emotiva anche attraverso diversi linguaggi artistici. Tra questi c'è sicuramente La buona novella, uno degli album più intesi di Fabrizio De André, pubblicato esattamente cinquant'anni fa, l'1 novembre 1970. Eravamo nel pieno delle contestazioni studentesche, ma il grande cantautore decise di raccontare a modo suo il più forte messaggio d'amore e fratellanza con l'affascinante rilettura della storia di Gesù, in cui si esalta l'umanità dei personaggi narrati. Per questo usò come fonte di ispirazione primaria i Vangeli apocrifi, testi non riconosciuti dalla Chiesa cattolica, ma ricchi di particolari sulle vicende di molti personaggi, a partire da Maria, a cui Faber dedica i suoi versi più profondi.


In occasione di questo anniversario La buona novella sposa allora l'immagine e diventa graphic novel grazie alla Fondazione De André, che ha acconsentito a far pubblicare in un libro a fumetti i testi originali dell'album, accostandoli ai disegni del visual artist Paolo Castaldi nel volume edito da Feltrinelli Comics.
Un lavoro, quello dell'artista milanese, che con i suoi disegni attraversa i secoli e arriva fino al presente, facendo sfilare sul Testamento di Tito («insieme all'Amico fragile la mia migliore canzone», ripeteva spesso lo stesso autore che affida appunto a Tito il messaggio religioso e il suggello autentico dei dieci Comandamenti), una galleria di volti e storie della cronaca più recente. Da Ani Guibahi Laurent, che a 14 anni ha trovato la morte assiderato a novemila metri d'altezza, tentando di scappare dalla Costa d'Avorio nel vano carrello di un Boeing diretto a Parigi; ad Henriette Karra, uccisa a 17 anni dal padre perché aveva una relazione con un ragazzo musulmano e palestinese.


Già vent'anni fa, in occasione del trentennale, l'album era diventato uno spettacolo teatrale, partito ovviamente da Genova, prodotto dal Teatro dell'Archivolto e basato sulla regia e trasposizione grammatica di Giorgio Gallione. Una sorta di Sacra Rappresentazione contemporanea che alternava e intrecciava quelle canzoni con i brani narrativi tratti dai Vangeli Apocrifi a cui Faber si era ispirato. Sul palcoscenico un amalgamato cast di attori cantanti, con Claudio Bisio nel difficile ruolo del narratore, Lina Sastri in quello di Maria adulta, mentre toccò a Leda Battisti interpretare Maria bambina e ad Andrea Ceccon calarsi nei panni di Tito il ladrone. Alle Voci Atroci il compito di reinterpretare le toccanti canzoni di De Andrè. L'elaborazione musicale fu affidata al compositore Carlo Boccadoro, impegnato pure sul podio per dirigere l'ensemble dei Sentieri Selvaggi.
Ma ritorniamo alla genesi dell'album e alle non poche critiche ricevute per il contenuto, che l'artista smontò definitivamente sul palco del Teatro Brancaccio di Roma il 14 febbraio 1998: «Quando scrissi La buona novella era il 1969.

Si era quindi in piena lotta studentesca e le persone meno attente - che sono poi sempre la maggioranza di noi - compagni, amici, coetanei, considerarono quel disco come anacronistico. Mi dicevano: Ma come? Noi andiamo a lottare nelle università e fuori dalle università contro abusi e soprusi e tu invece ci vieni a raccontare la storia - che peraltro già conosciamo - della predicazione di Gesù Cristo. Non avevano capito che in effetti La Buona Novella voleva essere un'allegoria - era una allegoria - che si precisava nel paragone fra le istanze migliori e più sensate della rivolta del 68 e istanze, da un punto di vista spirituale sicuramente più elevate ma da un punto di vista etico sociale direi molto simili, che un signore 1969 anni prima aveva fatto contro gli abusi del potere, contro i soprusi dell'autorità, in nome di un egalitarismo e di una fratellanza universali. Si chiamava Gesù di Nazaret e secondo me è stato ed è rimasto il più grande rivoluzionario di tutti i tempi».


D'altronde la spiritualità espressa meravigliosamente da De André in quest'album è sempre stata presente nella sua produzione, molte volte intrecciata con motivi sociali e anarchici. Bocca di rosa e Marinella all'inizio, Princesa e Dolcenera alla fine, sono state infatti le sue eroine attraverso cui ha cercato di descrivere il conflitto tra chi vive di dignità, umanità e verità contro chi invece è solo preoccupato di avere dominio e potere. Un'antica battaglia che De André ha combattuto appunto dagli esordi fino alla morte, con un'esistenza profondamente laica ma ricca di passione per un'entità divina che ci aiuti a superare le differenze.


Sotto il profilo musicale si deve ricordare che per registrare l'album fu assunto in blocco un giovane gruppo musicale lombardo già coeso che, dopo aver smesso gli abiti beat e apposto la propria firma sonora su alcuni lavori di Battisti, Mina e Celentano, si apprestava forte della compattezza maturata in studio - a lasciare il segno sulle sorti del nuovo rock, il progressive. Il nome del gruppo era i Quelli, e nel giro di un anno si trasformò nella Premiata Forneria Marconi, con cui poi il cantautore, alla fine del decennio, realizzò un memorabile tour.

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