I 25 dicembre della nostra vita: il Natale tra riti, ricordi e speranze

I 25 dicembre della nostra vita: il Natale tra riti, ricordi e speranze
di Mimmo TARDIO
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Sabato 24 Dicembre 2022, 15:32 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 04:16

"E se invece venisse per davvero? Se la preghiera, la letterina, il desiderio, espresso così, più che altro per gioco, venisse preso sul serio? Se il regno della fiaba e del mistero si avverasse? Se accanto al fuoco, al mattino, si trovassero i doni, la bambola, il revolver il treno, il micio, l’orsacchiotto, il leone che nessuno di voi ha comperati? Se la vostra bella sicurezza nella scienza e nella dea ragione andasse a carte quarantotto?...". Così scriveva in una sua poesia lo scrittore Dino Buzzati sul Natale. E a parte i giochi ed i regali, che oggi sarebbero diversi, come non dargli ragione, ancora oggi, sia negli auspici che nelle considerazioni finali? Certo, Natale, per rimanere in quelle sorta di aura dorata nella quale tutti lo avvolgiamo in questi giorni, è sicuramente lo scrigno da riaprire con più trepidazione; magari con un sentimento prossimo alla nostalgia ed anche al ricordo dei nostri stupori infantili; per tutti i 25 dicembre della nostra vita, sopratutto però per quelli delle nostre prime età. Per tutti c'era, (c'è ancora ?), una sorta di fase preliminare, un inizio fervoroso prestabilito. Era un cerimoniale che scoccava all'Immacolata o al massimo a Santa Lucia, come poteva essere che si aspettase ( si aspetta ancora ?), un lontano figlio universitario o una figlia che lavorava al nord per meglio adoperarsi. A fare il presepe, naturalmente. Qualunque fosse o forse è ancora oggi il giorno, il rito del presepe aveva sempre inizio col recupero degli scatoloni posti in soffitta o in garage. Mani solerti vi avevano apposto l'anno prima le giuste annotazioni . "Grotta, casette, alberi" e "Pupi, Madonna, Gesù bambino, San Giuseppe, il bue e l'asinello". Era impossibile sbagliare. Un tempo o anche oggi, chissà, si liberava una vecchia scrivania o un tavolo di servizio e vi si installava sopra un tappeto verde sintetico o anche qualche macchia di muschio vero, ricavato da qualche anfratto umido del terrazzo. Era un processo laborioso, durante il quale il padre, uno dei fratelli-sorelle maggiori ed anche la madre talvolta, come sapienti architetti, dopo aver commisurato ad occhio spazi e prospettive, provvedevano subito ad inerpicare lungo una parete montagnole di carta verde-marrone, con sotto cartoni.

I ricordi

Poi la parte più scenografica : la messa in opera delle capanne, dei pupi scampati alla furia degli anni, e la triade principale della Madonna e San Giuseppe, con Gesù Bambino che discosto aspettava la notte di Natale per essere posto nella mangiatoia. Infine i tre sfarzosi re Magi, posti più lontano perchè arrivassero, lemme lemme, in tempo il 6 gennaio alla Befana a depositare i loro doni. Poi dopo sarebbero venuti l'albero di Natale e le mille luci, che a dire il vero spuntarono come cavolo a merenda grazie alle sirene di Carosello e del consumismo, che convinsero tutti che occorreva "accettare" quell'usanza nordica. Anche se poi immancabilmente in ogni Natale, negli anni dell'autarchia televisiva in bianco e nero di mamma Rai, il Grande Eduardo De Filippo con "Natale in casa Cupiello", ci avrebbe sempre raccontato, tra le altre cose, che sopratutto per noi meridionali rimaneva "'u presepe" la scelta principale. Anche se Lucariello, come si sa, continuava ad incaponirsi ad ogni Natale con il suo "'nun mi piace" all'implorazione di Luca Cupiello, Eduardo per una sua riposta positiva, nel merito della bellezza "du presepe". Poi il Natale era ed ancora il momento dello "scartucciamento" alacre dei regali ed il piacere o disappunto nell'aprirli e poi grandi abbuffate, si sa. Insomma Natale è lo scrigno della memoria per antonomasia, magari è il ricordo di aria fredda che fumiga insieme a qualche camino, da qualche vicolo dietro casa o la scoperta che Babbo Natale era nostro padre o uno zio mattacchione. Come pure vecchi zampognari, con gilet foderati di lana autarchica, che almeno un tempo spuntano suonando in una fredda sera. Il Natale è la festa che si tramanda per le lunghissime tombolate certo, con gli immancabili mandarini spezzettati per segnare i numeri sulle cartelle; visite da fare o da ricevere, perchè ognuno ammiri la maestosità degli alberi o dei presepi ormai tecnologici di tante case, con alcune scene ora animate da congegni elettronici. Il Natale è anche l'occasione per rimpiangere, sempre e comunque, i vecchi Natali, sempre mitici ed avvolti nell'aureola d'una nostalgia vintage; ma poi anche il rimpianto per chi prima c'era e ora non più e la gioia per i nuovi arrivati. Il Natale è in definitiva il luogo del cuore più sedimentato in noi, che a rammentarlo sempre ci riscalda; è un assorto cantuccio della nostra memoria, un lungometraggio costruito con tante sequenze quante sono gli anni della nostra vita, con la prevalenza del colore rosso in molte delle sue scene. Natale è l'occasioni anche per starsene soli talvolta, a rimuginare i propri pensieri, come fu per Giuseppe Ungaretti, quando al ritorno temporaneo dalla grande guerra 1914/1918, nonostante sia nella giocosa e teatrale Napoli, scrive una sommessa ed accorata poesia, "Natale" appunto. "Non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo di strade. Ho tanta stanchezza sulle spalle. Lasciatemi così, come una cosa posata in un angolo e dimenticata. Qui non si sente altro che il caldo buono. Sto con le quattro capriole di fumo del focolare". Però Natale è o dovrebbe essere, a ben vedere, anche la festa che ci ricorda l'inizio della vita, il lento e contradditorio incamminarsi dell'uomo verso la nostra civiltà; quella che dalla vivida mangiatoia di ogni presepe l'adagiato Bambin Gesù ci esorta comunque a perseguire. Anche se e quando altra fosse la nostra religione. Perchè una nascita che narra la speranza di un mondo nuovo ed esorta alla pace davvero a tutti appartiene.

Credenti e non. Forse anche per questo a Natale "siamo più buoni", come narra una pubblicità. Però, al di là dei tristi tempi nei quali ci tocca vivere se almeno davanti ad un Presepe ci sentissimo in attesa di qualche speranza dal futuro, come immaginiamo siano tutti i pupi nelle nostre case, che adorano e sperano nel nuovo Messia, forse avremmo donato a tutti noi il regalo più bello di Natale. Ognuno magari vi intraveda il "Messia" che predilige, ma che porti comunque verso qualche speranza appunto, che tanto ci manca.

La speranza

Ed hanno ragione sia il grande Eduardo quando ci esorta, in altra sua opera, a sperare appunto che prima o poi "Addà passà 'a nuttata"; come pure il bravissimo poeta e scrittore Roberto Piumini quando si augura e ci augura e scrive che "Quest’anno Natale mi ha fatto un bel dono, un dono speciale. Mi ha dato allegria, canzoni cantate in gran compagnia. Mi ha dato pensieri, parole e sorrisi di amici sinceri. Dei vecchi regali non voglio più niente: ad ogni Natale io voglio la gente". Ecco, non sarebbe molto più bello farci un regalo vero, passandolo in allegria vera con gli altri il Natale e magari riflettendo nel rimirare quella sorta di "caminetto spirituale" che è ogni presepe, che abbiamo la necessità ed il dovere di darci e cercare più speranza e che il futuro appartiene sopratutto alle prossime generazioni? E che sarebbe il caso di non lagnarci ad ogni piè sospinto delle storture del mondo e delle tante ingiustizie, tante anche innegabili certo, ma che non si può vivere sempre e solo denunciando i mali del mondo a parole e poi starcene nella nostra fallace sicumera in disparte. Magari provando a coltivare meno rabbia e livori, sempre rivolti agli altri e sempre noi esclusi ovviamente; ovvero verso i soliti e scontati bersagli : la politica, le istituzioni, i capi ufficio, il padrone, gli immigrati, i terroni, etc. Ecco, se quei pensieri che ci dovessero venire davanti a quel presepe, ci spingessero ad essere più partecipativi e costruttivi, insomma più vitali e speranzosi nell'intravedere una qualche luce in fondo al tunnel, probabilmente ad ognuno di noi verrebbe di dire questa volta, chissà, "sì, mi piace u'presepe". Anche Eduardo e Luca, ora che insegnano tutti e due, a parlare il napoletano in Paradiso e la differenza tra "pernacchio" e "pernacchia" al cospetto del Buon Dio ne sarebbero pure loro contenti. Proviamoci.Buon Natale.

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