Enel, il sacrificio di Brindisi

La centrale Enel
La centrale Enel
di Oronzo MARTUCCI
6 Minuti di Lettura
Martedì 28 Novembre 2023, 20:16

Dal 1964, l’anno in cui fu avviata la costruzione della centrale Enel di Costa Morena (Brindisi Nord)  la città  è stata utilizzata come piattaforma energetica tra le più importati d’Italia, al servizio della Puglia, del Sud e dell’intero Paese con l’obiettivo di garantire l’elettrificazione del territorio nazionale e porre le condizioni per un sviluppo economico e sociale  che permettesse  a Nord e Sud  di crescere insieme. Con la costruzione della centrale di Cerano, decisa nel 1982 ed entrata in funzione più di 10 anni dopo, Brindisi e il Salento hanno messo a disposizione il loro territorio per rispondere ancora una volta alla necessità di produrre energia per la crescita del Paese, ospitando un polo energetico con una potenza produttiva installata di circa 4000 megawatt, e hanno assunto su di sé anche le conseguenze ambientali di quella scelta. 

Il polo energetico

Ora l’Enel ha deciso che ciò resta del  polo energetico (la centrale di Cerano) non serve più e gli interventi strategici vengono effettuati tenendo conto di logiche aziendali che devono fare soprattutto riferimento ad altri obiettivi. Nei giorni scorsi l’amministratore delegato del Gruppo Enel, Flavio Cattaneo, ha presentato il Piano strategico 2024-2026 nel quale viene evidenziato che “la strategia  è quella della ottimizzazione dell’allocazione  del capitale, efficienza ed efficacia, sostenibilità ambientale al fine di  massimizzare generazione di cassa e redditività con un solido rendimento per gli azionisti”. Nel triennio sono previsti investimenti per 35,8 miliardi ma non c’è posto per Brindisi, neppure un posto in ultima fila. Tant’è che dalle forze di governo (in particolare da Forza Italia con il deputato brindisino Mauro D’Attis e il nuovo capogruppo del Senato Maurizio Gasparri è stato chiesto  al governo e all’Enel di prevedere investimenti su Brindisi, di dare risposte a fronte della cessazione della produzione di Cerano.

Le prese di posizione

Non bastano queste per ottenere l’attenzione de governo e soprattutto dell’Enel, società quotata in borsa che, come ricorda Cattaneo, deve garantire un solido rendimento agli azionisti. Vi è invece la necessità di provocare una mobilitazione per rivendicare  ricadute su Brindisi, senza lasciare che siano organizzazioni imprenditoriali come Confindustria e Cna, a decidere, sulla scorta di interessi privati (legittimi, ma privati) quale futuro debba avere la città. Il Comune capoluogo deve essere il fulcro di questa battaglie.
 La  presidenza del Tavolo per la decarbonizzazione  della centrale di Cerano (ormai ferma) e di quella di Civitavecchia è stata affidata al sindaco Giuseppe Marchionna dal Ministero del Made in Italy il 9 novembre scorso e ci si aspettava che la presentazione del Piano strategico di Enel 2024-2026 potesse offrire qualche indicazione in merito. Ma la presentazione, avvenuta il 22 novembre, non ha offerto alcuno spiraglio a proposito. Anzi. E resta da capire come davvero il governo e l’Enel, oltre che i partiti di maggioranza e di opposizione e le forze sociali e imprenditoriali,  intendano  rispondere ai bisogno di  Brindisi, alla dismissione di una centrale che ancora oggi garantisce il lavoro  a 237 dipendenti Enel e a circa 500 operatori di ditte appaltatrici, con ricadute sulle attività portuali (collegate al trasporto del carbone) per altre centinaia di lavoratori e di imprese.
 

Per anni la chiusura

Della centrale di Cerano è stato visto dagli ambientalisti come un obiettivo strategico, tenendo conto che la produzione energetica comportava conseguenze negative per l’intero territorio salentino (vi ricordate i campi di carciofi e  i vigneti coperti di polvere di carbone lungo il percorso del nastro trasportatore del carbone che va dal porto a Cerano?) e immetteva in atmosfera milioni di tonnellate   di inquinanti.

Come a Taranto per l’ex Italsider, anche a Brindisi il dibattito ha sempre messo a confronto  la necessità di ospitare aziende strategiche per lo sviluppo del Paese, con la loro capacità di dare lavoro, e le conseguenze che l’inquinamento atmosferico ha avuto sulla salute degli abitanti dell’area jonico-salentina.  Il territorio in ogni caso si è fatto carico di scelte strategiche. Essenziali. Enel e il governo di cosa vogliono farsi carico ora? La città di Brindisi e il Salento non possono essere utilizzati e sfruttati con logiche coloniali. Nessuno se ne dimentichi. Nessuno dimentichi cosa Brindisi ha rappresentato per più di 60 anni e quali prezzi ha pagato.  A livello nazionale si discuteva dal 1962 della nazionalizzazione dell’industria elettrica che divenne legge il 27 novembre di quell’anno (con l’approvazione definitiva alla Camera del disegno di legge presentato dal governo centrista guidato da Amintore Fanfani, con il sostegno del Psi) e la nascita dell’Enel. Raccontare con gli occhi di oggi le scelte di allora, facendo emergere le criticità che quelle scelte hanno determinato anche sul piano ambientale e sanitario è facile, ma anche molto semplicistico. L’Italia aveva bisogno della Grande Industria per crescere ed è crescita sino a diventare tra i più importanti Paesi del Mondo. Brindisi e le aree limitrofe dell’area jonico-salentina hanno avuto un ruolo fondamentale nel percorso di crescita e ne hanno pagato un alto prezzo, anche come conseguenza delle crisi cicliche  e delle situazioni  che sono emerse nel corso degli anni. Il Petrolchimico di Brindisi cominciò ad entrare in crisi alla fine del 1977, quando scoppiò l’ impianto P2T che produceva etilene ed era il cuore pulsante dello stabilimento. Negli anni successivi la ricostruzione  non andò a buon fine e per un nuovo impianto di cracking bisognerà aspettare sino al 1993, quando lo stabilimento era giù passato all’Eni. All’inizio degli anni Ottanta il mercato della chimica era entrata in una fase di profonda trasformazione e la mancanza del P2T aveva portato la Montedison a rivedere i suoi piani. Migliaia di persone persero il lavoro. E proprio in quegli anni si decise che Brindisi avrebbe dovuto rafforzare il suo ruolo nella produzione energetica a discapito di quella chimica.

La convenzione del 1984 

 
Fu sottoscritta dal Comune di Brindisi la convenzione per la realizzazione di una centrale da 2640 megawatt a  Brindisi Sud /Cerano che avrebbe dovuto sostituire l’obsoleto impianto di Brindisi Nord/Costa Morena, la quale aveva funzionato a olio combustibile sino al 1979 e poi con alimentazione a carbone. In quegli anni si è discusso molto nel ruolo che Brindisi avrebbe dovuto avere e poi ha avuto come polo energetico. E si è discusso anche del potenziamento del porto in funzione dell’approvvigionamento delle centrali Enel, con la possibilità di movimentare tra 8 e  12 milioni di tonnellate di carbone all’anno per farne il secondo porto carbonifero d’Europa, dopo quello di Glasgow, in Scozia.  Nel frattempo Glasgow ha subito una profonda trasformazione e dopo essere stato un importante centro industriale è diventata una città attrattiva per i servizi (ora risulta essere tra le prime 60 città più vivibili del mondo). A Brindisi si è continuato a ragionare con logiche coloniali. La città non trova modo di cambiare e chi, come l’Enel, l’ha sfruttata può decidere di  abbandonare il campo senza pagare pegno. E’ il caso di  ricordare che la centrale di Cerano occupa 270 ettari di terreno. Senza impegni e scelte precise del governo e dell’azienda energetica e senza una mobilitazione che non faccia sconti a nessuno il pegno continueranno a pagarlo Brindisi e il Salento.  Anche in termini di occupazione di spazi che non potranno mai essere utilizzati per altri progetti.
Siamo di fronte alla madre di tutte le battaglie per la difesa del territorio. Nessuno si può sottrarre alle proprie responsabilità. Tanto meno l’Enel e il governo.

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