Messaggi "in codice" e trucchi. Poco più che dettagli per gli ascoltatori poco attenti. Particolari che però, spesso, vogliono dire tutto. O almeno lo fanno per chi punta (o sostiene di farlo) ad avere il controllo dei voti dei Grandi elettori. Lo scrutinio per l’elezione del presidente della Repubblica infatti, tradizionalmente è eseguito a voce, dal presidente della Camera. In pratica si ripete, in modo che sia udibile all'intera assemblea, ciò che si trova scritto sulla scheda (a meno che non sia nulla). Nel modo in cui è scritto sulla scheda.
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Cioè, ad esempio, un voto dato a Silvio Berlusconi, e uno a Berlusconi Silvio, permetterebbero di contare due differenti aree di riferimento che hanno espresso la preferenza.
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Berlusconi infatti, sta dando per scontato che il presidente della Camera Roberto Fico segua la strada tracciata dal suo predecessore Laura Boldrini che nelle ultime due votazioni per il Colle, nel 2013 e nel 2015, decise di leggere tutto quello che trovava nella scheda, senza omettere nulla (se sulla scheda trovava scritto “Sergio Mattarella” leggeva “Sergio Mattarella”, se invece c’era soltanto “Mattarella” leggeva “Mattarella”, e così via). In realtà però, non è affatto detto che sia cosi. Anzi. Il presidente in carica ha però un certo margine di discrezione, per esempio sulla modalità con cui annunciare il voto espresso in ogni scheda. E Fico pare avrebbe intenzione di comunicare durante lo scrutinio solo il nome a cui la preferenza è riconducibile, limitandosi a dire, ad esempio, «Berlusconi» per ogni voto a favore del Cavaliere.
Un modus operandi che disinnescherebbe la capacità di controllo di un candidato. Un po' come accadde nel 1992, quando, proprio durante l'elezione che avrebbe portato al Quirinale Oscar Luigi Scalfaro, a Montecitorio fecero la propria comparsa i "sarcofagi". E cioè quelle cabine elettorali, poi rinominate catafalchi e oggi per la prima volta abbandonate a causa del Covid, montate tra il banco della presidenza e quelli del governo per garantire la segretezza del voto. «L’accordo - spiegherà poi l'ex parlamentare Dc Cirino Pomicino - era che i parlamentari votassero a scheda aperta, così li vedevi in faccia. Il voto era segreto, certo; ma si poteva intuire quanto era lungo il cognome che scrivevano, capire se avrebbero rispettato gli accordi». L'introduzione del catafalco però (oggi sostituito da una versione 2.0, più facilmente sanificabile), sovvertì tutto e temendo i franchi tiratori Forlani si ritirò dalla corsa.
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E negli anni, raccontano nel cronache parlamentari, non sono mancati quindi altri tentativi fantasiosi di avere il controllo su ciò che finisce nell'insalatiera (cioè nell'urna). L'ipotesi, rimasta tale al momento, è quella di contare i secondi impiegati da ciascun elettore. La durata minima è del votante scheda bianca, la massima di chi deve operare una lunga scrittura. Uno stratagemma che però è facilmente aggirabile e, quindi, non dà garanzie.
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