Processo Londra, il Pm Vaticano impugna la sentenza di Pignatone, chiede la massima pena richiesta per tutti e dieci gli imputati

Processo Londra, il Pm Vaticano impugna la sentenza di Pignatone, chiede la massima pena richiesta per tutti e dieci gli imputati
di Franca Giansoldati
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Sabato 23 Dicembre 2023, 14:38

La storica sentenza sul maxi processo relativo alle operazioni finanziarie del disgraziato palazzo di Londra è stata impugnata dal Promotore di Giustizia vaticano per tutti i capi di imputazione relativi ai dieci imputati. Il capo dei pm d'Oltretevere, Alessandro Diddi, il 19 dicembre ha depositato nella Cancelleria del tribunale vaticano la dichiarazione di appello. E' deciso a difendere l'intero impianto accusatorio e chiedere la condanna per ognuno dei dieci imputati, uno dei quali (monsignor Mauro Carlino) è stato assolto dal collegio giudicante in prima istanza, sabato scorso.

Le decine e decine di capi di imputazione di reati che andavano dalla truffa, alla corruzione, dal peculato, all'autoriciclaggio, dalla subornazione di teste all'abuso d'ufficio, all'appropriazione indebita servivano a dimostrare l'esistenza un grande piano di corruttela e affari sporchi da parte di un network che agiva dentro e fuori al i sacri palazzi ai danni del Papa, naturalmente ignaro di tutto.

Per due anni e mezzo il processo svoltosi in un'aula ricavata apposta in uno spazio dei Musei Vaticani, ha fatto affiorare episodi scandalosi, più o meno conosciuti, scomodi retroscena sul governo papale, intercettazioni allegre, intimidazioni e tanta incompentenza da parte di chi aveva a che fare con l'obolo della vedova.

Per il Vaticano il processo è stato un test internazionale che serviva a verificare la tenuta democratica dell'istituzione giudiziaria secondo gli standard richiesti da Moneyvall e dall'Europa. Il presidente del Tribunale, Giuseppe Pignatone, anche sabato scorso, ha difeso il lavoro fatto affermando che il contraddittorio nelle 85 udienze tra accusa e difese ha permesso di fare affiorare la verità, anche se per le difese (molte delle quali pronte a ricorrere in appello) lo standard è rimasto ben al di sotto dello stato di diritto. In particolare l'avvocato Cataldo Intrieri, penalista noto a livello internazionale, e difensore di un funzionario vaticano (Tirabassi) ha fatto presente che le difese avrebbero voluto interrogare sia Papa Francesco che il cardinale Pietro Parolin in merito all'affare di Londra, visto che le prove suggerivano che erano stati loro ad aver fornito le autorizzazioni nelle varie fasi delle transazioni economiche. Eppure le richieste sono state negate con la conclusione, ha affermato Intrieri, che in uno Stato democratico europeo quando i vertici dello Stato si trovano coinvolti, vengono generalmente interrogati. «Ma non in Vaticano». Altri legali hanno sottolineato che per avere standard europei il sistema giudiziario vaticano dovrebbe avere una magistratura indipendente, selezionata attraverso un concorso aperto e una volta nominata non dovrebbe poter essere rimossa dal Papa che resta il massimo legislatore assoluto, poiché in questa monarchia non vi può essere la separazione dei tre poteri. Tutto questo, di conseguenza, danneggia l'immagine di imparzialità del sistema. 

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In ogni caso ora la nuova battaglia ora si sposterà in Appello, quando saranno pronte le motivazioni del Tribunale (si parla di almeno sei mesi, anche se qualcuno ipotizza almeno un anno). Nella sentenza di sabato su dieci imputati ne sono stati condannati nove: più noto e sotto i riflettori è il cardinale Angelo Becciu, già primo collaboratore di Papa Francesco ed ex Sostituto alla Segreteria di Stato. La sua condanna è stata di 5 anni e mezzo per peculato e truffa aggravata, mentre il Promotore Alessandro Diddi lo aveva accusato assieme agli altri imputati (i finanzieri Crasso, Mincione, Torzi, il funzionario Tirabassi) di altri reati per un totale di 13 anni di pene detentive a testa e 400 milioni di euro in restituzione. Il tribunale guidato dal giudice Giuseppe Pignatone ha condannato tutti solo per alcune delle accuse pur ordinando loro di pagare circa 366 milioni di euro in restituzione. 

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L'obiettivo principale del processo riguardava l'investimento di 350 milioni di euro della Santa Sede. L'investimento suggerito al Vaticano da Crasso e da MIncione è stato un autentico bagno di sangue tra mediazioni, consulenze, passaggi di proprietà. L'ultimo passaggio con il finanziere Torzi è costato alla Santa Sede 15 milioni di euro di commissioni per cedere il controllo della proprietà. Una sorta di estorsione.

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