Dimartino, cantautore indie con l'amore per il Messico

Dimartino, cantautore indie con l'amore per il Messico
di Eleonora L. MOSCARA
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Sabato 27 Luglio 2019, 13:43
Sino al 28 luglio a Corigliano d'Otranto prosegue il Sud Est Indipendente, festival ideato e promosso da CoolClub con la direzione artistica di Cesare Liaci, sostenuto da Mibac, Regione Puglia e altri partner pubblici e privati. Quattro serate di musica, incontri, mercatini, degustazioni e allestimenti artistici tra il Castello Volante, la Quercia Vallonea e l’Olden Times. Questa sera sul palco del Fossato del Castello si esibirà il cantautore siciliano Dimartino, tornato sulle scene con il disco Afrodite (42Records), un ritorno molto atteso il suo con un album prodotto da Matteo Cantaluppi, che stupisce fin dal primo ascolto con sonorità e mondi musicali nuovi: «Non sono mai stato legato ad un genere vero e proprio, - dichiara il cantautore - mettere sempre in discussione la musica che faccio mi fa sentire vivo e infatti, in questo ultimo disco molto più intimista, mi sono cimentato in un genere electro pop completamente nuovo per me, anche se le canzoni che ho inciso le avevo scritte già diverso tempo fa. L’album viene dall’esperienza avuta con mia figlia e dato che si tratta di testi molto personali, ho voluto renderle fosforescenti e arrangiarli in modo più frizzante e pop».
Hai lavorato spesso con Brunori ma anche Cristina Donà e altri artisti, ci saranno altre collaborazioni?
«Per ora faccio l’autore, ho scritto il singolo per Carmen Consoli e Levante “Lo stretto necessario” con Colapesce, anche il nuovo singolo di Irene Grandi e mi godo il mio tour».
Dimartino, dopo aver capitanato per un decennio i Famelika, band di culto nella Sicilia affamata di musica rock dei primi anni zero, nel 2010 decide insieme a Simona Norato e Giusto Correnti, di cambiare ragione sociale e dar vita al progetto cantautorale Dimartino. Nello stesso anno pubblica il suo album di debutto dal titolo Cara maestra abbiamo perso: un disco sulla sconfitta generazionale, la perdita dell'innocenza, i cattivi maestri.
Che tipo di ricerca stilistica c’è nella tua discografia?
«La mia ricerca è sempre legata ai testi delle canzoni, ho sempre mirato ai contenuti. In ciò che scrivo ci sono le mie idee personali e politiche, le impressioni che ho del mondo che mi circonda».
E a livello musicale?
«Ho sempre spaziato molto, sono partito dal rock 10 anni fa, poi un disco più pop dal titolo Sarebbe bello non lasciarsi mai ma abbandonarsi ogni tanto è utile, prodotto insieme al cantautore e amico Dario Brunori, poi è stata la volta di un genere elettronico, un concept sulla morte dolce, poi qualcosa di acustico e il tributo a Chavela Vargas. Ho sempre voglia di mettere in discussione ciò che faccio, troppo facile fare un pezzo che funziona e continuare con quello»
Nel 2017 pubblica a 4 mani con Fabrizio Cammarata il libro “Un mondo raro” dedicato alla cantante messicana Chavela Vargas. Nello stesso periodo fa uscire anche un disco omonimo, che raccoglie le migliori canzoni di Chavela Vargas tradotte in italiano. Il tour tocca le principali città italiane e arriva fino in Messico.
Ti ha cambiato il Messico e l’esperienza dedicata a Chavela Vargas?
«Ha cambiato il mio approccio con il palco perché quello era uno spettacolo molto teatrale ma non solo, parlare di questa icona del ‘900 e avvicinarmi alla sua figura di reietta, omosessuale, costaricana emigrata in Messico ha cambiato molti dei miei punti di vista in tante cose».
Com’è lavorare con Dario Brunori?
«Prima della collaborazione artistica io e Dario siamo legati da un’amicizia nata nel corso del lavoro che abbiamo fatto insieme. Lui è molto quadrato e lucido e ha tante idee, la sua visione della società e della musica di oggi mi consente di confrontarmi spesso con lui e chiedergli dei consigli, e anche lui lo fa con me».
Cosa pensi della musica italiana contemporanea?
«Da un lato sta vivendo un buon periodo anche se, non tutti i progetti hanno un valore artistico importante, ma questo è nella logica del business della musica. Un periodo che ha anche dei limiti, non vendendo molti dischi non si può investire in progetti più ambiziosi in ciò che prima definivamo ‘underground’».










 
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