Sì a Roma, no in Puglia. I parlamentari votano per la fiducia ma sul territorio sono in prima linea contro le trivelle

Sì a Roma, no in Puglia. I parlamentari votano per la fiducia ma sul territorio sono in prima linea contro le trivelle
di Alessandra LUPO
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Venerdì 7 Novembre 2014, 11:28 - Ultimo aggiornamento: 10 Novembre, 21:10

Banco di prova per il governo, scure per il Pd pugliese. Lo “Sblocca Italia”, decreto simbolo, quasi un manifesto per il governo Renzi, deciso a rimettere in moto il paese rendendo concrete (e da mercoledì legge) le sue visioni strategiche in materia di opere, burocrazia, approvvigionamento energetico e digitalizzazione, si trasforma in un terreno scivolosissimo per i parlamentari democratici del Mezzogiorno. Lontani da casa e dalle vertenze del territorio, deputati e senatori, hanno infatti approvato il testo, accordando al governo la fiducia richiesta.

Oltre alla fisiologica divisione tra maggioranza e opposizione, il voto al decreto, passato con 157 voti a favore e 110 contrari, li ha così obbligati ad anteporre la lealtà politica al governo a quella nei confronti del proprio territorio, dove il loro stesso partito, il Pd, combatte al fianco delle popolazioni la battaglia contro le multinazionali del petrolio che vorrebbero esplorare con getti di aria compressa buona parte della costa. Lo spettro della old economy, tornato prepotentemente a preoccupare i pugliesi da circa 3 anni, si è recentemente allungato fino al Capo di Leuca, attraverso tre diverse richieste di esplorazione da parte della Global Med Llc, piovute su 19 comuni salentini, che hanno immediatamente dichiarato guerra.

In loro appoggio - oltre alla Regione, saldamente in prima linea sul fronte “No triv” e pronta a impugnare lo Sblocca Italia davanti alla Consulta - ci sono i tre candidati alle primarie del centrosinistra, Michele Emiliano, Dario Stefàno e Guglielmo Minervini, per la prima volta d’accordo su qualcosa: «Il mare pugliese non si tocca».

Minervini ribattezza il decreto “Trivella Italia” e promette che sarà in piazza. Emiliano adombra i pericoli per aria e acqua, mentre Stefàno ha già presentato una interrogazione al ministero dell’Ambiente sulla tecnica dell’Air Gun, la produzione di onde “sismiche” che metterebbe in grave pericolo l’ecosistema marino (cetacei compresi). Il centrosinistra è insomma compatto sulla barricata, molto più che sul progetto del gasdotto Tap nel Salento, per esempio, che vede posizioni più sfaccettate.

Ecco perché per domenica 9 novembre, proprio il Pd salentino ha indetto una grande manifestazione di protesta a Santa Maria di Leuca. Un appuntamento che, come quelli di Monopoli, Manfredonia ecc, vuole consegnare all’opinione pubblica l’immagine di un territorio che si oppone. Ma come faranno i parlamentari che hanno votato il decreto a far parte della fotografia? Tra loro, infatti, solo Massimo Bray, l’ex ministro salentino - anche se solo d’origine - ha deciso di non votare il decreto, firmando il documento “Rottama Italia” in cui con altri parlamentari, prende le distanze dalle politiche “emergenziali” che questo governo intende imprimere ad alcuni passaggi chiave per il paese. Bray non parla di trivelle, ma da ex ministro dei beni culturali si preoccupa probabilmente dell’accetta sulle autorizzazioni paesaggistiche e archeologiche.

Una posizione senza dubbio differente da quella del suo successore, Dario Franceschini, che ieri in Abruzzo si diceva convinto che «ambiente e sviluppo possano convivere». Tuttavia gli stessi senatori, che hanno detto sì al decreto, arrivato blindato a Palazzo Madama, hanno deciso di combattere la loro battaglia contro le trivelle in fase attuativa. Martedì, infatti, con un ordine del giorno approvato all’unanimità, il Senato ha chiesto al governo un impegno preciso in materia di trivellazioni, ferme da anni e riaperte dal decreto Sblocca Italia.

L’ordine del giorno impegna l’esecutivo ad adottare una serie di misure per contenere i pericoli dell’estrazione, prevedendo un graduale decremento degli insediamenti nel mare italiano, dopo una ricognizione per verificare l’effettiva attività degli impianti. Nello specifico il testo, firmato anche dal parlamentare salentino di Forza Italia Francesco Bruni, chiede la sospensione dell’estrazione di petrolio entro le 12 miglia dalla costa (finché non sarà recepita una direttiva europea sulla sicurezza delle perforazioni), chiede di consentire agli enti locali della terraferma di esprimersi anche sulle acque nazionali e anche di aumentare del 50% le royalty riconosciute attualmente. Un passaggio per ora solo politico. Ma che rappresenta un primo possibile passo da compiere in fase attuativa.

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