Sola a Milano, ma con il cuore a Lecce: la nostalgia in 30 metri quadri

Sola a Milano, ma con il cuore a Lecce: la nostalgia in 30 metri quadri
di Fabrizia ARALLA
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Venerdì 27 Marzo 2020, 11:12 - Ultimo aggiornamento: 13:31
Fino a qualche settimana fa, avrei fatto la fila per la mostra dell'anno o, al massimo, per una famosa pizza fritta alle spalle del Duomo. Mai fuori da un supermercato, qui a Milano. Sessanta minuti, ieri. Un buon tempo d'attesa, tutto sommato. Altrove possono essere anche ottanta. Le consegne a domicilio, poi, vanno ormai  oltre il 3 aprile. Quindi, per riempire il frigo, occorre uscire e mettersi in fila. Non c'è un'opzione premium per passare avanti, stavolta.
Una nuova app calcola il tempo medio di attesa per i punti vendita del quartiere. Come se sbrigarsi avesse ancora un senso, mentre tutto è fermo e l'agenda è saltata da un pezzo. A quelli come me, da quasi un mese in smart working, sin dalle prime avvisaglie della crisi è ancora concesso un pezzo di normalità, piccolo piccolo, da tenersi stretto, buono per pensare a breve, brevissimo termine. La  chat room è la nuova routine e, per il tempo libero, c'è la cena su Skype con gli amici, o il gruppo su whatsapp. C'è il bicchiere di vino da remoto, per dire ti voglio bene con un abbraccio virtuale e ripromettersi di dirselo, quanto prima, anche di persona. C'è la video chiamata con la mamma che  - lo puoi vedere - si morde le labbra per non appesantirti con le preoccupazioni e alla quale non riesci a dire, anche se vorresti, quanto speri che arrivi presto l'ora di andare a dormire, perché sia di nuovo mattina. Si fa rumore come si può quando la città finisce, i semafori scattano a vuoto e, in venti minuti, passano almeno tre ambulanze a sirene spiegate.
L'isolamento è duro, per tutti. Può esserlo ancora di più in 30 metri quadri. Tanto misura il mio monolocale: c'è un letto a soppalco, di quelli un po' brutti, e una cucina dove posso camminare soltanto di lato. Però ho il balcone. Così, se mi venisse un'improvvisa passione per il giardinaggio, potrei assecondarla. Ma non troppo, perché fuori c'è posto al massimo per un vaso e mezzo. 
Meglio allora il cortile di casa, a Lecce. Lì, di vasi ce ne sono tanti, con i ciclamini, il basilico e la menta. C'è anche un tavolo grande sul quale d'estate ceniamo. Il mio tavolo, invece, ospita insieme la colazione, il pranzo e la cena. Da un mese, è anche la mia scrivania. Sopra ci sono due computer, uno attivo per il lavoro e uno personale, per il tempo libero. Due computer, due giornate, due vite. Tenerle separate è la vera sfida, fino a quando sarà tutto finito.
Nel frattempo, il virus è ancora là, fuori. È stato per giorni attorno a me, attorno agli amici, ai colleghi. Fino ai primi di marzo, fino alla festa di compleanno a casa di Elisa, la mia amica. Anche lei è di Lecce, da oltre dieci anni vive a Milano. Al Liceo siamo state compagne di banco. Quella sera a tavola eravamo nove. Abbiamo finto spensieratezza, cercando con la coda dell'occhio le ultime notizie alla tv, accennando leggerezza, illudendoci in cuor nostro che l'uragano sarebbe passato senza toccarci e che la nostra bolla sarebbe rimasta intatta. Non avremmo mai immaginato, qualche giorno più tardi, di ritrovarci al centro di una guerra. Non avremmo mai pensato che avremmo contato i giorni sulle dita, pensando al tempo medio di incubazione, con la paura di essere stati contagiati da qualche parte. Con la paura di ammalarci senza le nostre famiglie, pensando piuttosto - prima che a guarire - a come impedire alla mamma e al papà di partire se ci fosse successo qualcosa. Non avremmo mai voluto sentirci così inchiodate alla distanza, oggi più di prima, senza poter fare una carezza ai familiari, senza poter dare un aiuto o poter togliere un po' di peso dalle spalle con la nostra presenza.  Noi che, adesso, un po' le spalle ce le abbiamo scoperte, senza la solita Milano. Vederla annaspare ci fa piombare nell'incertezza, dopo che all'incertezza credevamo di aver posto rimedio. Facciamo fatica senza la nostra adulta quotidianità, senza un piano B.
Io ed Elisa abitiamo vicine. Ci piace Milano est, ci piace camminare tra Lambrate e Loreto. Sembra ieri che eravamo in via Ampère, a guardare i nuovi attici, le palazzine storiche e a sognare di abitare a un piano alto, altissimo, dove la casa è sempre piena di luce e nelle poche giornate chiare puoi vedere le Alpi. In questi giorni, ci siamo date due volte un appuntamento clandestino, approfittando dell'ora d'aria per la spesa. Ci siamo incrociate a metà strada per salutarci dai marciapiedi opposti, con il volto coperto dalla mascherina, negli occhi di entrambe un pizzico d'angoscia per il nostro mondo che non troviamo più. Non le ho ancora chiesto qual è la prima cosa che vorrebbe fare quando sarà tutto finito. Perché un giorno lo sarà, tutto finito. Magari ci ritroveremo ancora una volta a Lecce per la Festa di Sant'Oronzo, in agosto. Perché, no, a Sant'Oronzo non si può mancare. Forse faremo il bagno a Porto Selvaggio, l'aperitivo a Santa Caterina o il giro della costa in auto in giornata, da San Cataldo a Gallipoli. Mi basta pensare al momento in cui  torneremo a casa e passeggeremo per le vie della città. Alle sette, l'ora più bella d'estate, quando il sole si raffredda e l'aria è bluastra e frizzante. Tutto sarà alle spalle e le rondini in picchiata saranno le sole sirene ad annunciare la sera.
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