Riello: «Fare sistema è la chiave per valorizzare il comparto fieristico»

Ettore Riello
Ettore Riello
di Nicola Quaranta
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Domenica 11 Settembre 2016, 11:58
BARI - «Le istituzioni comprendano il reale peso delle fiere nel processo di crescita delle industria». Lo afferma con forza Ettore Riello, già presidente di Verona Fiere e imprenditore di livello internazionale nel settore meccanico, oggi presidente di Aefi, Associazione esposizioni e Fiere Italiane.
Presidente, quale oggi la missione delle fiere ed il ruolo che le stesse recitano nel sistema economico del Paese?
«Sostenere le imprese nella crescita. Nonostante la crisi, le fiere continuano a rappresentare per l'88,5% delle imprese italiane l’unico mezzo di promozione sui mercati e lo strumento fondamentale per il proprio sviluppo, utile al contatto diretto con il cliente e alla comunicazione aziendale per la ricerca attiva del potenziale acquirente. Inoltre, per un mercato domestico come il nostro, fortemente incentrato su un tessuto industriale di Pmi, il supporto delle fiere per approcciare i mercati stranieri è vitale. Le fiere sono uno strumento strategico per lo sviluppo della politica industriale del Paese. Parlano i numeri: 60 miliardi di euro il giro d’affari generato dalle fiere che danno origine al 50% dell’export delle nostre Aziende. Il fatturato complessivo di tutte le fiere italiane si aggira intorno ai 2 miliardi di euro e se consideriamo l’indotto, che è molto più elevato rispetto all’industria tradizionale, si raggiungono i 6-7 miliardi. Il nostro sistema dovrebbe essere considerato dalle Istituzioni un investimento per la promozione del Made in Italy nel mondo».
Diverse campionarie minori, però, affannano e spesso enti di gestione costituti ad hoc chiudono i battenti soffocati dai debiti. Solo colpa dei riflessi della crisi?
«Certamente la crisi ha costretto gli operatori a una selezione delle manifestazioni a cui partecipare. Non solo. Alcune decisioni del Governo potrebbero penalizzare sensibilmente il sistema fieristico. Come Aefi non abbiamo mai smesso di richiamare l’attenzione delle Istituzioni affinché venga compreso il reale valore delle fiere quale leva di politica industriale. E se da un lato il sistema fieristico viene sostenuto – mi riferisco ai fondi stanziati dal Mise per il Piano straordinario per il made in Italy e rinnovati anche per quest’anno - dall’altro rischia di soccombere a causa di una normativa non chiara, soprattutto in merito ad assetto societario, regolamentazione in materia di trasparenza e tassazione fiscale degli immobili. Relativamente all’Imu, per le realtà che hanno bilanci vicino al pareggio, diventa un elemento di assoluta insostenibilità. È inoltre fondamentale che le fiere possano operare secondo regole europee in tema di trasparenza».
Puntare sulle fiere di settore è la strategia migliore?
«Quello su cui è necessario  puntare è l’internazionalizzazione. Non dobbiamo dimenticare che il nostro Paese è tra quelli che più in Europa vanta un’eterogeneità di organizzazioni fieristiche: un valore che va preservato, sia per l’intero sistema che per i territori perché abbiamo realtà in grado di rappresentare comparti e aziende di grande varietà. Ogni fiera ha la sua peculiarità, la sua valenza ed il suo ruolo specifico. Le grandi, quelle con una forte vocazione internazionale, stanno veramente facendo la differenza, nei settori strategici, per l’incremento delle esportazioni. Nei settori in cui negli ultimi anni si è investito molto in termini di prodotti fieristici i risultati non mancano. Dal 2009 le esportazioni sono in costante crescita e nel 2015 hanno raggiunto i 413 miliardi di euro con un saldo positivo di oltre 45 miliardi, con una crescita spiccata nel mondo delle cosiddette 4A: Alimentari-vini; Abbigliamento-moda; Arredo-casa; Automazione-meccanica-gomma-plastica, settori fortemente supportati dal sistema fieristico. Allo stesso tempo le fiere a carattere locale e nazionale, rifocalizzate su obiettivi specifici, sono strategiche nel presidio del nostro territorio, nella vocazione “consumer”, nella valorizzazione del tessuto economico e possono fare da “incubatore” di nuove iniziative».
La stessa Fiera del Levante, pur restando la campionaria per antonomasia del Mezzogiorno è alla ricerca di un rilancio che possa farla tornare ai fasti d'un tempo. La strada della privatizzazione è quella giusta?
La strada giusta è sempre quella che conduce verso la generazione di valore per il territorio tutto nel lungo periodo. Sicuramente è anche questa la visione che sta guidando le decisioni per la Fiera del Levante e la delineata collaborazione con BolognaFiere». 
È possibile immaginare in prospettiva futura una rete di collaborazione e attività sinergiche tra le maggiori Fiere nazionali?
«Fare sistema” è la chiave per valorizzare l’intero comparto. In alcuni casi un processo di aggregazione potrebbe amplificare il ritorno offerto sia al mercato che al territorio. Le possibili dinamiche di integrazione e accorpamento non sono certo semplici, bisognerebbe riuscire a creare condizioni favorevoli a questo tipo di processo, per essere più forti verso i competitor stranieri. Se si vuole essere internazionali e competitivi credo che sia una strada da percorrere. E’ sempre più importante offrire agli espositori la possibilità di avere un presidio importante del mercato italiano e al tempo stesso essere il veicolo, a costi contenuti, per il mercato estero, quello lontano, quello difficile da raggiungere».
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