Anche in una notte del genere è riuscito a essere Special. Sì, perché con 20mila increduli sugli spalti a Budapest, altri 55mila a Roma in un Olimpico popolato di maxischermi e una squadra a pezzi, fisicamente e psicologicamente, ha tirato fuori il coniglio dal cilindro. Come aveva fatto con Dybala, in campo, qualche ora prima. Stavolta la sorpresa è di quelle che ti spiazza ma che strappa allo stesso tempo un sorriso. José Mourinho l'ha fatta a tutti un'altra volta: «Rimango, non me ne vado, resto qui con voi» è il succo del discorso che ha fatto prendendo i suoi ragazzi, riunendo la famiglia sotto il settore di innamorati con le lacrime agli occhi. I rigori, ancora loro, a spegnere sogni di gloria. Ma non la voglia di riprovarci. Con la sua squadra: «Io ho ancora le mie cose a Trigoria ma adesso è il momento di parlare con la proprietà - proseguirà poi in sala stampa - L'ultima volta è stata a dicembre, quando mi ha cercato il Portogallo, poi non ho avuto più nulla. Merito di più, anzi meritiamo di più. Voglio lottare con questa squadra ma sono stanco di dover fare troppo. Lunedì vado in vacanza e durante le vacanze mi riposerò. Ripeto, voglio rimanere, ma voglio lottare per qualcosa in più. Sono un po' stanco di essere allenatore, uomo della comunicazione, di essere la faccia che dice "siamo stati derubati". Sono un po' stanco di essere tanto. Ma io voglio rimanere con le condizioni per dare di più». È la carezza che lenisce lo schiaffo ricevuto dall'ultimo rigore di Montiel. La speranza alla quale ci si aggrappa per mandare giù l'ennesimo colpo basso. Non era mai arrivato ai rigori nelle cinque finali internazionali che aveva vinto in carriera. Il dischetto, e la sesta, gli sono stati fatali.
Mourinho, voglia di rivalsa
Ma c'è voglia di rivincita.
Il percorso
Sono state due stagioni memorabili per quello che Mourinho ha rappresentato per la Roma e per la gente della Roma. José si è calato perfettamente nel popolo, diventato presto suo. Ha parlato il linguaggio dei tifosi, si è seduto accanto a loro. Ha creato un gruppo di uomini, senza quei fuoriclasse che hanno costellato la sua carriera e l'ha fatto diventare una squadra vera. Un monolite, capace di respingere i nemici e di assorbire i guai (e quest'anno sono arrivati in serie, specie dall'infermeria), trasformandoli in motivazioni, in novità, in idee. E ora, nella serata più difficile, è pronto a ripartire. La palla passa ai Friedkin. Farselo scappare sarebbe un altro ko. Paradossalmente ancora più doloroso.