Conte e l'addio all'Inter. La scelta onesta di un uomo che ha un solo obiettivo: vincere

Conte e l'addio all'Inter. La scelta onesta di un uomo che ha un solo obiettivo: vincere
di Giovanni CAMARDA
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Giovedì 27 Maggio 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 19:57

Un altro sarebbe anche rimasto. E con gioia. Dopo aver vinto lo scudetto, e di fronte all’esigenza inderogabile di ridimensionare obiettivi e costi, qualunque allenatore al mondo si sarebbe comodamente adagiato su una montagna di attenuanti con le quali giustificare risultati eventualmente deludenti: io vi ho dimostrato quanto valgo e quello che so fare, ma certo non potete pretendere che vi porti in cima all’Everest calzando le scarpe da tennis. Quindi, accontentatevi di quello che verrà.

La scelta

Un altro sì, sarebbe rimasto. Ma non lui, non Antonio Conte. Già era stato sul punto di lasciare l’anno scorso, dopo la migliore stagione dell’Inter post Mourinho, con un secondo posto in campionato e la finale di Europa League persa anche casualmente (si ricorderà il goffo autogol di Lukaku). Tutto questo sempre a modo suo, remando controcorrente, esposto a qualunque tipo di attacco, disposto ad andare oltre il contratto, assumendosi anche oneri altrui, facendo da parafulmine. È da sempre il Conte style: un po’ per necessità ma molto anche perché gli piace così, da solo contro il resto del mondo, la condizione che lo esalta, a prescindere dalla maglia, dal contesto, dalla latitudine. Sono Conte, gioco solo per vincere, non mi spaventa nulla. E, in effetti, anche stavolta non è la paura di fallire a spingerlo lontano da Milano ma piuttosto l’idea di vedere azzerato il lavoro di due anni (peraltro da completare), l’impossibilità di competere sempre per il massimo, il passo indietro rispetto ad un percorso magistralmente avviato.

Una decisione in fondo onesta

S’era messo in testa che avrebbe puntato al secondo scudetto di fila e ad arrivare finalmente in fondo alla Champions. Questo era il programma. Invece gli hanno detto: non ce la facciamo ad andare avanti, dobbiamo sacrificare qualche big, ridurre gli ingaggi, scegliere un target più basso. Ma a uno così, che ha appena dimostrato di essere il più forte, non si può chiedere di spostarsi di lato per far passare qualcun altro. A maggior ragione dopo aver esplicitato con i fatti - all’Inter e altrove - di essere decisivo come pochi al mondo nel suo ruolo. Un allenatore con questo profilo, con questa personalità, non può accontentarsi di obiettivi di seconda fascia, ossessionato com’è dalla vittoria, l’unico amore al quale è fedele da sempre. Se non gioca per vincere, semplicemente preferisce non giocare, anche rinunciando ad una parte dell’ingaggio. Sono sempre tanti milioni, certo, ma in fondo neppure troppi se poi si va a considerare anche il riflesso del suo lavoro sulla crescita esponenziale dei valori di mercato dei suoi. Aspetto che molti spesso trascurano, omettendo di riconoscere che i 12 milioni netti all’anno del suo stipendio erano abbondantemente ripagati dalle quotazioni individuali raddoppiate, triplicate, addirittura quintuplicate (qualche nome? Bastoni, Barella, Hakimi, Lautaro).

Di fronte alla prospettiva indicata dal club, chiudere è stato inevitabile, una decisione in fondo anche onesta, da parte di entrambi. Un divorzio anticipato ma nemmeno di tanto, non più di un anno, visto che mai finora ha allenato una squadra per più di tre stagioni di seguito. 

Zhang adesso è libero di inseguire un tecnico più malleabile, con meno pretese, sperando di limitare i danni, sul campo e nei bilanci del club. E lui, Antonio, che fa? Si ferma, si ricarica, aspetta? Oppure si tuffa in una nuova avventura, magari tornando in Inghilterra? Sommessamente, verrebbe quasi da segnalargli che da queste parti ci sarebbe una squadra a caccia di un allenatore dopo la dolorosissima eliminazione dai play off per la promozione in A. Certo, questo club non giocherà l’anno prossimo in Champions ma pare voglia puntare comunque a vincere. Sì, calmi, è una battuta, si fa per dire. Anche se, a pensarci bene, pure questa sarebbe una sfida da Conte, come lo era all’Inter, da ex juventino, dove oggi a piangere sono gli stessi che lo avevano accolto con una contestazione. 
 

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