La Terra brucia. Alla transizione ecologica se ne affianchi una culturale

di Francesco FISTETTI
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Sabato 14 Agosto 2021, 05:00

Le immagini degli incendi che stanno divorando intere regioni del centro-sud, dalla Puglia al Lazio, dalla Calabria alla Sicilia, ci restituiscono il paesaggio lunare di boschi distrutti e di paesaggi devastati: un crimine contro la natura consumato dalla mano e dalla mente di un “homo sapiens” divenuto irresponsabile. Basta scorrere l’ultimo rapporto Onu degli esperti intergovernativi sul clima (Ipcc) per rendersi conto che sono le attività umane la causa del riscaldamento globale dell’atmosfera, degli oceani e delle terre. Lo studio produce nuovi dati conoscitivi sul nesso tra emissioni di CO2 rivenienti da attività umane, sconvolgimenti climatici, eventi metereologici estremi e loro impatto su scala regionale. Mentre i satelliti del sistema Copernicus documentano che il luglio appena trascorso è stato tra i tre più caldi della storia globale, a loro volta i 48,8 gradi di temperatura registrati a Siracusa l’11 luglio, i 49,6 gradi di calura a Lytton in Canada o i 34 gradi di inizio luglio in Scandinavia oltre il circolo polare sono solo alcuni fenomeni climatici di portata planetaria da cui non possiamo più distogliere lo sguardo. L’Ipcc afferma che a partire dal rapporto del 2014 il pianeta ha conosciuto un riscaldamento senza precedenti, cinque volte maggiore rispetto al 1850, con un sovrappiù di fenomeni inediti come l’accelerazione dell’innalzamento del livello dei mari o lo scioglimento delle calotte glaciali (in particolare quella della Groenlandia).

La sfera dell'Antropocene

Per quanto riguarda il riscaldamento globale di 1,5° C, il rapporto Onu del 2018 stimava che questa soglia sarà superata tra il 2030 e il 2050, a meno che non intervengano nel frattempo delle correzioni di rotta. Questo obiettivo resta, dunque, ancora possibile, ma a condizione che riusciremo a ridurre le emissioni in modo sistematico e continuativo nei prossimi vent’anni. La posta in gioco della conferenza globale sul clima fissata a Glaslow a novembre prossimo, con una seduta preliminare a Milano a fine ottobre, sarà esattamente questa: contenere entro 1,5 l’aumento della temperatura del pianeta assumendo impegni radicali da parte della comunità internazionale.
È evidente che questi dati allarmanti ci parlano di una svolta gigantesca verificatasi nella storia dell’evoluzione geologica e della vita umana sulla Terra, che gli studiosi riassumono nel concetto di Antropocene, coniato dal chimico Paul J. Crutzen, il quale ha mostrato il rapporto di causa/effetto tra la potenza umana e lo stato del pianeta. Poiché ha inizio con la rivoluzione termoindustriale e con l’invenzione della macchina a vapore, non è difficile intuire che l’èra dell’Antropocene viene a intrecciarsi intimamente con il tecnocapitalismo, cioè con un modo di produzione storicamente determinato. Come è diventato via via sempre più chiaro, quella del tecnocapitalismo è una storia molto complessa e contraddittoria, il cui principale criterio di progresso è stato associato alle innovazioni tecniche e al loro sviluppo esponenziale, ritenute per una lunga fase neutrali dal punto di vista dei fini e dei valori grazie alla mentalità utilitaristica che esse promuovono. 

Oggi, di fronte ai disastri dell’ecosistema, ci stiamo rendendo conto che l’utile prodotto dal tecnocapitalismo era legato ad un capitale costante che ha sfruttato per i suoi scopi di accumulazione della ricchezza, ma che si è rivelato in via di esaurimento. Si tratta delle energie di stoccaggio come il petrolio, il carbone, il gas naturale, che, come sappiamo già dal “Rapporto sui limiti dello sviluppo” pubblicato nel 1972 dal Club di Roma, sono riserve limitate. Adesso cominciamo a vedere e a patire i danni arrecati all’umanità dal primato incondizionato che abbiamo assegnato alla mentalità utilitaristica, trascurando l’energia di flusso come l’irraggiamento solare, il vento, le maree, che non sono delle risorse esauribili, ma su scala umana sono infinite. Il sole, che secondo S. Tesson è la “grande centrale gialla”, offre alla Terra un calore di 5.600 volte il consumo mondiale di energia primaria.

Ecco allora la sfida della transizione ecologica, di cui troviamo dei timidi accenni nel Piano per la Ripresa dell’Europa (NextGenerationEU) che mira a creare un’Europa più verde, digitale e resiliente. È questa una partita culturale, ideologica (in senso pregnante) e politica quant’altre mai, poiché è in gioco la possibilità di un cambiamento consapevolmente guidato dall’“homo sapiens” attraverso le élites politiche e soprattutto attraverso la società civile mondiale. Passare dal bruciare petrolio e derivati fossili al consumare energia solare significa realizzare un salto evolutivo straordinario nella nostra specie, dove avremo modo di misurare la potenza delle lobbies dei combustibili fossili. 

La casa comune Terra

Infatti, sarebbe un grave errore pensare che la transizione ecologica possa lasciare immutato lo stato delle cose esistente fondato sulla mentalità utilitaristica generalizzata. Se consideriamo che il tecnocapitalismo delle energie di stoccaggio ha modellato non solo la cosiddetta civiltà dei mezzi ma anche l’organizzazione dei rapporti sociali, allora comprendiamo meglio che le nostre democrazie sono state delle “democrazie del carbone” e che, insieme con le diseguaglianze sociali, le imprese e i poteri pubblici hanno preferito utilizzare tecnologie altamente inquinanti anche quando la scienza metteva a disposizione alternative energeticamente efficaci. Ovviamente non bisogna sottovalutare le difficoltà di andare oltre il sistema energetico attuale, perché, come ci ammonisce Pascal Chabot in un bel libro recente edito da Castelvecchi (“L’epoca delle transizioni”), sarebbe un’ingenua e dannosa utopia credere che esista una “soluzione miracolosa”, fosse pure il rinnovabile. D’altronde, gli autori del Secondo Manifesto Convivialista, oltre a lanciare l’allarme sui rischi a cui l’umanità è esposta nell’età dell’Antropocene, hanno sottolineato che è necessario avviare una transizione culturale e politica su scala mondiale. Il contributo della filosofia e delle scienze umane al giorno d’oggi non può che essere questo: spiegare, con l’umiltà propria di Socrate, che prendersi cura di sé e del mondo significa edificare una società capace di garantire a tutti una prosperità e un benessere adeguati nella casa comune che è la Terra. Una casa che sta letteralmente bruciando grazie al trionfo incontrastato di una mentalità utilitaristica che valuta “progresso” solo ciò che rientra nella logica astratta del mercato, misconoscendo le capacità umane dei soggetti nella loro singolarità peculiare e nella loro comune umanità.
 

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