Il reddito di cittadinanza e le proposte di modifica: la necessità di fare ricorso al buon senso

di Carlo BORGOMEO
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Giovedì 12 Agosto 2021, 05:00

Uno dei prossimi impegni nell’agenda del Governo è la rivisitazione del Reddito di cittadinanza (RdC). È una questione di vitale importanza che, speriamo, possa essere finalmente affrontata con una massiccia dose di buonsenso, lasciandosi guidare dall’esperienza realizzata in questi anni piuttosto che da prese di posizione pregiudiziali e, spesso, fortemente ideologiche. E, da questo punto di vista, il Governo Draghi può ottenere buoni risultati. La storia del RdC è stata, dall’inizio, condizionata da posizioni molto nette e poco concilianti da parte dei diversi partiti politici. Il movimento 5 stelle ne ha fatto un punto irrinunciabile del suo programma di governo: l’esigenza di “intestarsi” politicamente questa scelta ha impedito di valutare l’opportunità di estendere e rafforzare il precedente REI ( reddito di inclusione) introdotto dal Governo a guida PD che ha mostrato di funzionare abbastanza bene, ma che aveva una dotazione finanziaria troppo scarsa.

La resistenza alla legge

Questo il motivo per cui il Pd si mostrò critico rispetto alla nuova legge. Ma la resistenza più grande venne dalla Lega, alleata di Governo del M5S: Salvini lanciò l’immagine del “divano” sul quale i giovani sarebbero stati incoraggiati ad adagiarsi grazie al sussidio dello Stato. Era inevitabile cercare una mediazione: il M5S non poteva mollare, la Lega non poteva cedere. Il compromesso fu trovato nel concepire il RdC, contemporaneamente, come strumento di lotta alla povertà e di una innovativa politica attiva del lavoro. Ed anche, per certi versi, in requisiti troppo stringenti, in particolare per gli stranieri, per l’accesso alla misura. Queste posizioni, molto ideologiche, riaffiorano nel dibattito di queste settimane: in particolare i sostenitori del RdC sottovalutano le criticità emerse nell’esperienza, mentre gli oppositori le sopravvalutano fino a chiedere l’abrogazione della misura. Se vincerà il buonsenso si dovrà riconoscere che gli interventi relativi all’avviamento al lavoro non hanno funzionato adeguatamente e che la mediazione trovata non è stata felice. Le misure di politica attiva del lavoro sono state sostanzialmente improvvisate come dimostra la vicenda dei navigator e non hanno tenuto conto della sostanziale debolezza della rete dei Centri per l’impiego.

La partita del buon senso

Questa parte va profondamente rivista. Se vincerà il buonsenso si dovrà riconoscere che in alcuni casi, soprattutto al Sud, il reddito di cittadinanza consolida il lavoro nero: questo non è un motivo per chiedere che la misura venga abrogata, ma è sbagliato negare che in alcuni casi questo fenomeno si verifica. Per inciso andrebbe ricordato a quanti gridano allo scandalo per quest’aspetto che la loro posizione sarebbe più credibile se accompagnata da proposte concrete per superare il fenomeno del lavoro sommerso. Se vince il buonsenso quindi il RdC sarà confermato con correzioni, alcune delle quali anche abbastanza significative anche tenendo conto dell’esperienza del Reddito di Emergenza introdotto in piena pandemia.

In primo luogo bisogna prendere atto che alla luce della capacità di “copertura” dell’attuale meccanismo vanno rivisti i requisiti di accesso: su 100 famiglie povere, il 44% riceve il RdC, il restante 56%, no. Su 100 famiglie che lo ricevono, il 64% sono povere, il 36% no. Gli attuali requisiti sembrano penalizzare soprattutto i poveri del Nord: , nel Nord il numero delle famiglie che fruiscono del RdC è il 37% di quelle in povertà assoluta, nel Centro il 69% e nel Sud il 95%. Le famiglie povere escluse tendono quindi: a risiedere nel Nord, ad avere minori, ad avere un richiedente straniero, ad avere risparmi superiori alla soglia consentita. Questi dati sono contenuti nell’ultimo monitoraggio (16 luglio 21) della Caritas che ha un titolo significativo: Lotta alla povertà: imparare dall’esperienza, migliorare le risposte.

L'inclusione sociale

Si tratta di un lavoro decisivo per comprendere il fenomeno, in quanto al rigore scientifico si associa la straordinaria esperienza sul campo della Caritas, organizzazione di riferimento nella lotta alla povertà e nelle politiche di inclusione sociale. Occorre quindi correggere i requisiti di accesso soprattutto per non discriminare gli stranieri, i nuclei familiari in povertà assoluta anche se con un componente che ha un lavoro, e coloro che hanno piccoli risparmi. Contemporaneamente bisogna abbassare la soglia del reddito per l’accesso al RdC per i nuclei familiari di una sola persona che finiscono per essere decisamente più favoriti. In secondo luogo occorre correggere i percorsi di inclusione lavorativa. Non penso sia giusto escludere queste misure nella riforma del RdC. Ma ripensarle profondamente è necessario (soprattutto individuando percorsi diversi per chi non è occupabile ed incentivi per chi lo è). Ma la questione più importante è quella relativa ai percorsi di inclusione sociale; si potrebbe, con una battuta dire: meno navigator e più operatori sociali, anche ingaggiando organizzazioni di Terzo settore. Accompagnare i beneficiari del RdC ad un pieno inserimento nella società, combattendo insieme la povertà in senso stretto, con quella sanitaria, educativa, abitativa. E con questa metodologia di accompagnamento e non solo di repressione il RdC potrebbe diventare addirittura uno strumento capace di combattere il lavoro nero. Certo con un approccio diverso da quello declinato nelle improbabili proposte a questo proposito contenute nel PNRR. Vi sono quindi ampi margini di miglioramento per rafforzare l’efficacia di questa misura: è su questo che bisogna lavorare, rinunciando a polemiche inutili e controproducenti. Ed anche con la consapevolezza che le soluzioni efficaci richiedono sperimentazioni, adattamenti e quindi tempi non immediati. Misure di sostegno al reddito esistono in tutta Europa e noi meridionali dovremmo essere più sensibili a questo tipo di interventi che nel nostro Paese, storicamente, erano rivolte con maggiore efficacia a sostenere il reddito di chi lo aveva perso rispetto a quelli che non lo avevano mai avuto.
 

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