Odessa, il piano senza Nato: «Azione militare nei porti»

L’idea è rompere il blocco con una flotta dei Paesi più colpiti dalla carenza di cibo

Odessa, il piano senza Nato: «Azione militare nei porti»
Odessa, il piano senza Nato: «Azione militare nei porti»
di Francesco Malfetano
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Mercoledì 25 Maggio 2022, 00:03 - Ultimo aggiornamento: 26 Maggio, 08:39

Una missione «militare umanitaria» per recuperare il grano bloccato nel porto di Odessa e distribuirlo ai Paesi del sud del mondo. A rilanciare l’idea di un’operazione di questo tipo, con l’intento ultimo di evitare i «milioni di morti» dovuti alla crisi alimentare che va innescandosi, stavolta è Enrico Letta. Intervenendo su Rai1 ieri il segretario dem ha definito questo tipo di soluzione una «priorità» ricevendo immediatamente il supporto di diversi esponenti del suo partito. «Credo che i russi il permesso ufficiale non lo daranno mai, ma c’è e modo per dare il permesso - ha rincarato -. Credo che se alcuni Paesi europei insieme ai Paesi del sud del mondo andassero a prenderlo…». 

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L’IPOTESI
Nonostante l’ipotesi venga considerata piuttosto remota all’interno del ministero della Difesa, l’idea di Letta trova riscontro in una proposta che secondo fonti diplomatiche alcuni funzionari dei governi lituani ed estoni avrebbero avanzato negli ultimi giorni alle cancellerie di mezza Europa.

Con un però. La risposta sarebbe stata quasi sempre un timido «valuteremo», eccetto per quanto riguarda il Regno Unito che si sarebbe invece detto disponibile, con la condizione di non accettare un coinvolgimento diretto o “offensivo” della Royal navy. Coinvolgimento che, in realtà, non è considerato essenziale.

 


Il piano baltico in effetti sostanzialmente si propone di rompere il blocco navale russo al largo di Odessa grazie ad una piccola flotta di navi, scortata da paesi non Nato. Una «coalizione di volenterosi» come è stata definita in prima battuta, che vedrebbe scendere in campo soprattutto quei Paesi che sono più colpiti dalla carenza di cibo, ad esempio l’Egitto o il Pakistan. In questo modo infatti, potenzialmente si eviterebbe una rapida escalation nel caso in cui le operazioni non dovessero andare come prospettato. Al netto dell’alto rischio della missione però, va sottolineato come nelle intenzioni iniziali le navi in questione dovrebbero agire solo come garanti. E magari, a riprova di ciò, potrebbero essere accompagnate da navi cargo dell’Onu. Anche perché, ragionano i Paesi baltici, non solo difficilmente un armatore metterebbe a disposizione la propria nave in un contesto di questo tipo, ma pure i costi - delle assicurazioni in particolare - potrebbero finire con il rendere proibitiva la soluzione. In tutta evidenza quindi per ora si tratta di poco più di suggestioni che però testimoniano l’attivismo su questo fronte da parte di tutto il mondo.

Tant’è che l’idea trapela proprio nel giorno in cui è stata avviata l’esportazione del grano via terra, in cui l’allarme sulla sicurezza alimentare nel mondo è rimbalzato anche da Davos e, soprattutto, in cui anche la Cina ha preso posizione: «Serve spingere per una tregua tempestiva e fornire un corridoio verde a Russia e Ucraina sull’export del grano». Segnali più cauti sono stati lanciati ieri anche dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio: «Bisogna aumentare la pressione sulla Russia per permettere di sbloccare l’export di grano dai porti ucraini - ha detto ieri intervistato da Bruno Vespa - Altrimenti la Russia dimostra di essere la causa dell’incremento dei prezzi dei beni al consumo che si impennano per le famiglie oltre che per le aziende». Tuttavia, precisa, «Qualsiasi cosa riguardi il porto di Odessa richiede un negoziato, perché non possiamo far passare navi commerciali» in una zona di guerra «e c’è la chiusura da parte della Turchia del mar Nero. Quindi qualsiasi dispositivo militare viene dopo un negoziato».


L’OPERAZIONE
In pratica restano molti dubbi sulla praticabilità di un’operazione militare come quella prospettata ieri da Letta. «Sarebbe una forzatura» spiega una fonte governativa di primo piano particolarmente scettica rispetto all’opzione, in primis perché i porti ucraini sono zeppi di mine. Vale a dire che iniziando oggi le operazioni di sminamento «prima di potersi riprendere il grano passerebbe almeno un altro mese e mezzo». E i tempi certamente non sarebbero così favorevoli perché, appunto, per avvicinarsi alle coste ucraine servirebbe il benestare di Mosca e di Ankara (per poter raggiungere il mar Nero e poi consentire un rapido trasporto verso il Mediterraneo attraverso dei corridoi dedicati). In ogni caso resta sul tavolo la disponibilità, già manifestata del governo di Mario Draghi alla Romania, a prendere parte attivamente alle eventuali operazioni di sminamento attraverso almeno due delle dieci navi cacciamine della classe Lerici e Gaeta in dotazione alla Marina Militare nostrana.

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