Monosi, no alla revoca:
«Potrebbe ricoprire incarichi pubblici»

Monosi, no alla revoca: «Potrebbe ricoprire incarichi pubblici»
di Erasmo MARINAZZO
3 Minuti di Lettura
Martedì 23 Gennaio 2018, 05:25 - Ultimo aggiornamento: 11:21
E niente. Anche questa volta è stata respinta l’istanza di revocare la misura interdittiva all’ex assessore comunale alla Casa ed al Bilancio, Attilio Monosi, 47 anni, di Lecce. Il no è arrivato dai giudici del processo al via l’8 gennaio scorso, in cui Monosi ed altri 23 imputati devono difendersi dall’accusa di aver distratto i due milioni e 30mila euro erogati dal Ministero dell’Interno all’associazione “Antiracket Salento” per potenziare l’assistenza alle vittime di usura ed estorsioni.
I giudici Pasquale Sansonetti, Marcello Rizzo (relatore) ed Annalisa de Benedictis (a latere) hanno ricordato che sebbene Monosi non faccia parte del consiglio comunale, insediatosi dopo le elezioni di giugno dell’anno scorso, potrebbe ricoprire incarichi in altri enti se gli fosse revocata la sospensione “dall’esercizio di pubblici uffici o servizi e dalle attività ad esse inerenti”, applicata il 10 maggio dell’anno scorso per la durata di un anno.
Tre i punti salienti dell’ordinanza che hanno respinto l’istanza presentata dagli avvocati difensori Luigi Covella e Riccardo Giannuzzi sostenendo - fra le altee cose - che Monosi sia sotto processo per questioni che non hanno alcun rilievo penale: la sussistenza delle esigenze cautelari, ad otto mesi dalla misura emessa dal giudice per le indagini preliminari, Giovanni Gallo. Perché, spiegano, considerano tuttora “allarmanti”, i fatti riportati nel capo di imputazione che ha dato luogo alla richiesta di interdizione dei pubblici ministeri della Procura di Lecce, Massimiliano Carducci e Roberta Licci: truffa aggravato e falso in concorso con altri imputati, per il recupero di quei i 141mila 364 euro versati alla “Saracino Costruzioni” prima dall’amministrazione comunale di Lecce e poi dall’ufficio del commissario straordinario antiracket, per i lavori alla sede di Lecce.
Nel tracciare il quadro indiziario, i giudici hanno inoltre ricordato che Monosi sia sotto processo anche per peculato ed ancora per falso, per i quali non fu applicata la misura cautelare per mancanza di gravi indizi.
Infine è stata ritenuta irrilevante la circostanza che Monosi si sia dimesso dalla carica di assessore al Bilancio, dopo la notifica dell’interdittiva: questa circostanza era stata già valutata dal Tribunale del Riesame, nel respingere l’istanza di annullamento della misura.
 
Il parere della Procura? Contrario. I due magistrati titolari dell’inchiesta hanno dato rilievo alle motivazioni del gip Gallo e del Tribunale del Riesame per sostenere che Monosi abbia una fitta rete di contatti e di influenze a Palazzo Carafa. Una rete che si estenderebbe oltre la struttura amministrativa, per andare ad abbracciare i tecnici. Cosa del resto - hanno scritto ancora i due magistrati - dimostrata dall’inchiesta: il dirigente comunale Pasquale Gorgoni si sarebbe rivolto a lui per intercedere sul segretario generale Vincenzo Specchia, al fine di fare risultare retrodatata la firma per chiedere al Ministero dell’Interno, il pagamento alla “Saracino Costruzioni”.
E gli interrogatori a cui si è sottoposto Monosi non hanno attenuato le esigenze cautelare? Senza mezzi termini le considerazioni dei due magistrati a questo proposito: hanno scritto che l’ex assessore ha mistificato la ricostruzione dei fatti, attribuendo tutte le responsabilità al dirigente comunale Gorgoni ed all’imprenditore Saracino.
Pericolo di reiterazione, ha sostenuto la Procura: la revoca della misura interdittiva potrebbe consentirgli di tornare a fare l’assessore. Perché - hanno scritto i due magistrati - le dimissioni non sono irrevocabili.
Una considerazione - quest’ultima - prettamente tecnico-giuridica. Nella realtà oggi Lecce è governata dallo schieramento politico contrapposto a quello di Monosi. Dal centro sinistra. Sub judice: il Consiglio di Stato deve pronunciarsi sul premio di maggioranza
© RIPRODUZIONE RISERVATA