​Consorzi di bonifica, nuovo stop dei giudici alle cartelle

Consorzi di bonifica, nuovo stop dei giudici alle cartelle
di Maddalena MONGIO'
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Lunedì 13 Marzo 2017, 05:30 - Ultimo aggiornamento: 13:14
Un altro round sfavorevole ai consorzi di bonifica. Bocciati per le cartelle spedite, a migliaia, negli ultimi anni perché, scrivono in giudici, «non c’è beneficio reale legato ai lavori dichiarati»: prima i piccoli proprietari, ora due imprenditori titolari di altrettante aziende del territorio salentino. Il verdetto è della Commissione tributaria provinciale: un altro salto di qualità nella battaglia giudiziaria che è stata ingaggiata, dopo la protesta della scorsa estate guidata dai sindaci salentini, contro la Soget che è l’ente di riscossione della Regione a cui fanno capo, con particolare riferimento della provincia di Lecce, i consorzi Terra d’Arneo e Ugento-Li Foggi. 
La spuntano due aziende di produzione di vino e olio: una di Leverano e l’altra di Ugento che sono due zone-chiave del territorio agricolo di casa nostra. Circa 30mila euro di cartelle e la rabbia di dover pagare a fronte di nessun beneficio, hanno spinto gli imprenditori a dare mandato a un legale, Alberto Pepe, che ha smontato il tassello-chiave del beneficio ottenuto. Da qui la sentenza della Commissione tributaria provinciale che ha accolto le ragioni esposte dall’avvocato Pepe perché i consorzi non sono riusciti a confutare la perizia di parte che ha attestato l’assenza del beneficio.
«Non c’è dubbio che al fine di determinare la legittimità dell’imposizione tributaria occorre che l’immobile tragga un beneficio diretto dalle opere di bonifica – spiega l’avvocato Pepe –, nonché un concreto vantaggio. Bisogna, quindi che le opere di bonifica siano effettivamente utilizzabili ed utilizzate dal soggetto sottoposto all’imposizione, con onere dell’ente impositore di verificare tale necessaria circostanza». 
Questo il presupposto ben noto, ma cosa è accaduto in questo caso? I consorzi di bonifica, per provare che il beneficio c’è, utilizzano il piano di classifica del territorio che evidenzia l’esistenza di opere ed impianti consortili. Peccato che esistano sulla carta e manchi una verifica sui luoghi che attesti la loro effettiva presenza. Ma non basta. I consorzi sulla base di quanto esiste a livello documentale calcolano l’indice di beneficio «senza aver svolto alcuna specifica attività istruttoria sul campo per accertare l’esistenza di reti funzionanti ovvero il diretto e concreto vantaggio di tali opere rispetto ai fondi», insiste il legale.
Così l’agronomo incaricato della verifica è andato sui luoghi, ha ispezionato i canali, i punti di erogazione, fotografando tutto con l’occhio impietoso dell’obiettivo. Nel caso specifico è stata verificata la carenza della funzionalità idraulica dei canali accertando che si trovano in totale stato di abbandono ed è stato verificato che le acque piovane vengono assorbite e non fatte defluire attraverso le opere consortili, «peraltro non collegate ai terreni, anzi separate dall’attraversamento delle strade asfaltate». Così si legge nella perizia in cui si afferma a chiare lettere che «dal reale stato di fatto delle aree interessate dall’imposizione emerge la totale assenza di opere di manutenzione di bonifica e quindi di beneficio diretto specifico, ossia di alcun vantaggio per gli immobili e i terreni».
Il punto di partenza è la pesante situazione debitoria dei Consorzi pugliesi che nel 2015 si attestava a 300 milioni. Un rimando per rafforzare, una volta di più, le mancate opere di bonifica. «Il dibattito sui consorzi di bonifica pugliesi si è legato proprio alla loro palese inefficienza operativa – conclude Pepe – tanto che il governo della Regione ha concluso che hanno accumulato circa trecento milioni di debiti, senza aver realizzato alcuna opera di bonifica e di tutela del territorio».
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