«Come ti abbiamo fatto salire, ti facciamo scendere»: le minacce del clan al sindaco. E il bacio fra le bancarelle della festa patronale

«Come ti abbiamo fatto salire, ti facciamo scendere»: le minacce del clan al sindaco. E il bacio fra le bancarelle della festa patronale
di Paola ANCORA
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Lunedì 24 Giugno 2019, 14:24 - Ultimo aggiornamento: 14:44
Il sindaco passeggia fra le bancarelle del paese: è Santa Domenica, patrona di Scorrano. Si avvicina, per salutare, anche a quella degli Amato, la famiglia a capo del clan che domina il paese e il circondario, da Maglie a Otranto. Giuseppe Amato, il boss detto “Padreterno”, stringe la mano al sindaco e lo bacia sulle guance.

E' luglio del 2018. Intercettato, Stefanelli confida al suo interlocutore il timore di esser stato visto da qualcuno: «Sono passato davanti alla baracca di Giuseppe, e stava seduto là davanti. Mi sono dovuto fermare a salutarlo, si è alzato e mi ha baciato, cioè...proprio...A posto, ho detto...se mi hanno fatto la foto...». E ride, il sindaco Stefanelli, che secondo gli investigatori, proprio grazie ai favori del clan Amato, avrebbe appianato alcuni dissidi con un dipendente comunale ritenuto affiliato al clan Coluccia di Noha.

Stefanelli, eletto nel 2017, è indagato a piede libero per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo l'accusa avrebbe tessuto una relazione con gli esponenti del clan grazie a Massimiliano Filippo, anche lui indagato a piede libero e dipendente dell'impresa di proprietà del primo cittadino, la “Nuova Era”. Sarebbe stato proprio Filippo, il factotum, a farsi portavoce delle richieste del clan presso Stefanelli e a fare da collettore dei voti che il gruppo criminale avrebbe dovuto garantire in cambio degli appalti, sia per le Amministrative del 2017 - che videro eletto proprio Stefanelli - che per le Politiche del 2018, «in favore della coalizione di centrodestra, che schierava nella circoscrizione territoriale il candidato Luciano Cariddi», del tutto estraneo alle indagini e che risultò, poi, non eletto. 

Il clan - ricostruiscono Procura e carabinieri, anche con l'ausilio di intercettazioni ambientali e telefoniche - era interessato alla gestione dei parcheggi e del parco urbano “La Favorita”, chiosco bar compreso. Un appalto che già negli anni precedenti era nel novero degli appetiti del clan, ma che - ancora - non si era riusciti a incamerare. 

Di quell'appalto parla agli inquirenti anche l'assessore al Bilancio di Scorrano, Pierluigi Blandolino, in un colloquio durante il quale l'amministratore non nasconde il suo timore per la caratura criminale dei personaggi coinvolti nelle vicende che racconterà. Fu avvicinato da uomini vicini ad Amato in tre diverse occasioni per sapere a che punto fosse l'iter per l'affidamento del parco. In una di queste occasioni, Blandolino si trovava insieme a Stefanelli, in auto. Francesco Amato, figlio del boss, si avvicina allo sportello e ribadisce a chiare lettere che nessuno avrebbe dovuto «mettersi sulla sua strada», rimproverando minaccioso Blandolino per aver rifiutato l'incontro con uno dei suoi uomini. Più tardi, l'assessore affronterà il sindaco, lo rimprovererà di averlo coinvolto in quella «squallida vicenda» e gli suggerirà di liberarsi del suo factotum, Massimiliano Filippo.

C'è tutto questo nell'ordinanza firmata dal gip Sergio Mario Tosi per i 37 coinvolti nell'operazione “Tornado”: poco meno di due anni di indagini, dal settembre 2017, portate avanti dai carabinieri del Comando provinciale di Lecce coordinati dal procuratore aggiunto della Dda Guglielmo Cataldi e dal sostituto procuratore Maria Vallefuoco. E c'è anche, nero su bianco, il clima di paura seminato dai “ragazzi di Padreterno”, dei quali faceva parte anche Mattia Capocelli, il 28enne ucciso lo scorso aprile a Maglie, vicino a un camioncino per la vendita di panini, da Simone Paiano, uscito di prigione pochi giorni prima e ritenuto un affiliato a un clan del Brindisino. All'origine dell'omicidio, sempre questioni di droga. 

La droga, infatti, era il core business dell'attività criminale. E poi le armi, che “i ragazzi di Padreterno” maneggiavano con disinvoltura: coltelli, fucili a canne mozze, pistole di ogni tipo, dinamite, usata spesso e volentieri per riportare l'ordine quando qualcuno “osava” disattendere gli ordini o violare il territorio del boss Giuseppe Amato. Ancora: gli affari sulla costa, da Castro a Otranto, per chiedere il pizzo ai titolari dei lidi balneari o a quelli delle stazioni di rifornimento. Un giro d'affari che - raccontano le indagini - avrebbe fatto  affidamento sulla politica, per proseguire e prosperare. E che oggi, con “Tornado”, è stato fermato. 
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