«Potenza aveva appuntamento con l’uomo scampato all’agguato»

«Potenza aveva appuntamento con l’uomo scampato all’agguato»
di Erasmo MARINAZZO
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Lunedì 12 Giugno 2017, 06:22 - Ultimo aggiornamento: 15:28
Con chi aveva appuntamento Augustino Potenza alle sei della sera del 26 ottobre nel parcheggio dell’IperMac di Casarano, dove spuntò la moto da cui partirono i 24 colpi di kalashnikov mortali? Quel nome è in una annotazione del Commissariato di polizia di Taurisano, confluita in uno dei nove faldoni dell’inchiesta sul gruppo mafioso di Casarano guidato da Tommaso Montedoro: Ivan Caraccio, 30 anni, di Casarano anche lui.
Al momento è solo un’ipotesi investigativa, che tuttavia ha trovato anche dei riscontri: di quell’appuntamento e dei contrasti fra i due, ha riferito una persona vicina a Potenza. Ed in una agenda sequestrata in casa di Potenza c’era l’indicazione “Ivan 14.700-450-200-250”. Inoltre l’annotazione di polizia parla anche del furto della moto usata dai sicari e dell’acquisto del kalashnikov.
Caraccio, la persona che ha fatto imprimere una improvvisa accelerata al blitz “Diarchia” del 30 maggio scorso, dopo che la Procura ed i carabinieri del Nucleo investigativo si convinsero che di lì a poco sarebbe stato ammazzato: dalle intercettazioni delle telefonate fra Tommaso Montedoro e Luca Del Genio, erano venuto a conoscenza che lo considerassero inaffidabile. Ed in quei dialoghi si parlò anche di tendergli un tranello e di usare un telo di plastica in cui avvolgere il cadere per farlo poi sparire. Una “lupara bianca” perché considerato inaffidabile - questa idea si sono fatta gli inquirenti - tenuto conto che saprebbe molte cose sull’eliminazione cruenta di Augustino Potenza. 
Le carte dell’inchiesta dicono che la vittima conoscesse bene Caraccio. E questa circostanza potrebbe spiegare il perché una persona scaltra e diffidente come Potenza, avesse parcheggiato la sua Audi A5 davanti ad un muretto: senza la possibilità di ripartire rapidamente, in caso di pericolo. Ad ogni modo non si sarebbero dovuti incontrare lì, Potenza e Caraccio: avrebbero preso appuntamento altrove, inizialmente. In zona “California”.
 
Il perché di quell’incontro? Per parlare di un debito contratto con la vittima.
Un debito di 8.600 euro che Potenza avrebbe sollecitato da tempo, fino a perdere la pazienza e ad usare parole offensive: “Pezzo di m...”, “morto di fame”.
Secondo quella nota della polizia, la moto usata dai killer sarebbe stata rubata un mese prima da un persona indicata con nome e cognome che l’avrebbe consegnata a Caraccio. Del reperimento del kalashnikov si sarebbe occupato Caraccio in prima persona: l’avrebbe acquistato per 1.200 euro a Corigliano d’Otranto. 
Insomma, l’annotazione della polizia ha rafforzato la convinzione degli inquirenti che Caraccio fosse a conoscenza del piano per ammazzare Potenza. Da qui la scelta del pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia, Guglielmo Cataldi, di recarsi in carcere per interrogare Caraccio: tuttavia, alla presenza dell’avvocato difensore Walter Zappatore, si è avvalso della facoltà di non rispondere. L’aver saputo attraverso il decreto di fermo, che stava per essere ammazzato, non gli è bastato per fare una scelta forte: cambiare vita, tagliare i ponti con il passato criminale.
Caraccio è una delle 14 persone colpite dal decreto di fermo giustificato dalla necessità di salvagli la vita. Risponde di associazione mafiosa con Montedoro ed altri. Montedoro il cui nome compare anche in una nota a piè di pagina in cui si dice che sia indagato per l’omicidio dell’ex amico fraterno Augustino Potenza.
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