Da 45 giorni chiusa in casa con il coronavirus: «Ho avuto paura di morire da sola»

Da 45 giorni chiusa in casa con il coronavirus: «Ho avuto paura di morire da sola»
di Francesca PASTORE
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Sabato 2 Maggio 2020, 09:48 - Ultimo aggiornamento: 10:51
Quarantacinque giorni chiusa in casa. Paura e sofferenza, ma anche coraggio e speranza, traspaiono dagli occhi azzurri di Alessandra, attraverso lo schermo e la videochiamata. «Restate in casa, siamo ancora in piena pandemia. Il virus è pericolosissimo, la vita è preziosa e la morte non aspetta» dice Alessandra Quarta, 35 anni, originaria di Lecce, per alcuni anni residente a  Lizzanello, ma da 7 anni “adottata” dalla Lombardia: vive a Brescia. Lì lavora come educatrice in una struttura socio-sanitaria per disabili. Un lavoro che lei ama molto e che le ha permesso di realizzare quello che era uno dei suoi sogni più grandi: essere punto di riferimento e mano tesa per i più svantaggiati, per gli ultimi. 

Dal 19 marzo Alessandra è chiusa in casa, positiva anche al secondo tampone a cui si è sottoposta qualche giorno fa, dopo un precedente falso negativo. «Quando ho saputo di essere positiva al coronavirus ho avuto molta paura – non si nasconde Alessandra - paura di finire intubata. Paura di non venirne fuori. Paura di morire, sola. Cercavo di tranquillizzare i miei genitori, le mie sorelle, che mi chiamavano decine di volte al giorno. Loro non potevano fare nulla, né venire da me, né io da loro. Non avrei mai messo a rischio la vita e la salute di altre persone. In questi casi l’amore conta prima di ogni cosa».

Alessandra ha iniziato ad avere difficoltà respiratorie in casa, con febbre altalenante, tosse che si è trasformata in bronchite, dolori muscolari sempre, perdita del gusto e dell’olfatto, mal di testa. «Quando ho avuto sentore che la mia situazione stesse diventando grave – racconta Alessandra – ho chiamato il 118, gli operatori hanno potuto sostenermi e darmi consigli telefonicamente, c’era gente che moriva ed io, paradossalmente, ero il caso meno grave perché riuscivo a respirare tot volte in un minuto, non ero in rischio di vita».

Nonostante la lontananza dalla sua terra la salentina ha la fortuna di avere tante persone che le vogliono bene e che mai le hanno fatto mancare la spesa, le medicine e qualche parola di conforto. Impossibile per Alessandra trattenere l’emozione e anche difficile per chi la ascolta: «Se mi portano in ospedale e mi intubano, se dovessi morire, non ho con me nemmeno la mia famiglia. E allora, nel corso di una fortissima crisi respiratoria, mi sono alzata a fatica dal letto e mi sono preparata la borsa, nel caso in cui mi avessero ricoverata. Perché i sintomi arrivano improvvisamente, quando sembrava che mi fossi ripresa invece no, il virus colpiva più forte di prima, togliendomi il respiro». Sorride Alessandra, «ora mi sento bene, ho avuto l’ultimo sintomo il giorno di Pasqua, manifestatosi con dermatite e gastrointerite».

«Ultimamente - prosegue - faccio spesso un sogno, di incontrare gente e di allontanarla, per paura di contrarre o trasmettere il virus. Mi sento così, ancora molto insicura». L’invito che Alessandra vuole fare a tutti i suoi conterranei è quello di «restare in casa, di usare le protezioni in maniera oculata, di aspettare per le visite ai parenti, di non avere fretta di andare al bar o di incontrare gli amici. Ho visto la mia famiglia a dicembre, probabilmente la rivedrò in autunno. Ma va bene così. La vita non può essere gettata al vento, abbiamo tanti dispositivi digitali a disposizione, accontentiamoci di quelli. Lo scenario che ho vissuto qui era surreale ed angosciante, sconvolgente sentire ambulanze squarciare il silenzio assordate, tre quattro sirene ogni 5 minuti. Quello l’unico rumore che si sentiva. La sensazione, purtroppo, era veramente quella di stare in guerra» conclude Alessandra.
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