Quirinale, lo spettro dei franchi tiratori tra inciuci e paure

Montecitorio il giorno dell'insediamento di Napolitano
Montecitorio il giorno dell'insediamento di Napolitano
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Giovedì 18 Aprile 2013, 12:26
Per andare dove dobbiamo andare, dove dobbiamo andare? Sono Tot e Peppino, naturalmente. Ma anche la scena riassuntiva della grande nebbia che ha avvolto i mille. Sono i grandi elettori nella lotteria del Colle. Cominciano a intravedere qualcosa nella nebbia solo verso sera. Fino a quel momento, nomi che ballano, riunioni democrat e pidielline convocate, sconvocate, riconvocate, boh, voglie di ammuina («Questo è un Parlamento di indisciplinati», gongola Scalfarotto del Pd), insensatezze del tipo di quella di Calderoli su Cassese («Si chiama Sabino, come la mia prima moglie Sabina. Ti pare che lo voto?»), giostre di quirinabili che girano a tutta velocità e poi però nella danza di ombre cinesi («Ci siamo incartati», è la sintesi di Ugo Sposetti, del Pd, nel primo pomeriggio) comincia a stagliarsi la sagoma da vecchio alpino di Franco Marini. Che prima era salito, poi sceso, quindi recupera. E occhio a D’Alema in rimonta, anzi no: il comandante Max pare che non ce la faccia. E la Gabanelli che dice? Spunta perfino la candidatura di Fernanda Contri. Resiste ma poi crolla Amato il quale l’altra volta, quando sfiorò il Colle senza espugnarlo confidò a D’Alema: «Almeno mi eviterò le prime della Scala». «Rodotà non lo voto neanche se mi tagliano entrambe le mani»: è lo sfogo del singolo deputato democrat ma che parla a nome di tanti altri che si sentono scavalcati e offesi da Grillo ma il grillino napoletano, Roberto Fico, avvicina alcuni colleghi bersaniani e cerca di convincerli: «Ma Rodotà che ha di male? Non è uno dei vostri? Anzi, dovevate pensarci voi a candidarlo». Penseranno magari a votarlo, almeno qualcuno di loro, nel segreto dell’urna. E intanto passa in Transatlantico il governatore campano Caldoro e qualcuno gli grida: «Vacci tu al Quirinale!». Pochi metri più in là, in un divanetto del Transatlantico, siede Cesare Marini, socialista perbene, ex parlamentare, che scherza: «Sembra che, forse, voteranno Marini. Ma chi, io?».



QUELLI DELLA MONTAGNA


In un altro divanetto, mentre l’accordo tra Bersani e Berlusconi si fa e si disfa cinque o sei volte e Grillo bombarda il Palazzo, un gruppo di grandi elettori regionali di rito dalemiano («Sono scesi dalle montagne», ironizza il loro amico Sposetti) regala questa immagine: «Berlusconi interpreta i nostri sogni meglio di noi». Significa che dalla grande nebbia sta riemergendo il comandante Max? Facile emergere, ma è facile anche sommergere. I commessi di Montecitorio, mentre il catafalco (la cabina elettorale) e l’insalatiera (l’urna) stanno già in aula aspettando le schede di stamane che saranno di diverso colore per ogni votazione in modo da evitare brogli (nel ’92 vennero trovate tre schede in più), sono divisi a loro volta nel toto-Colle: chi per D’Alema («Marini è troppo in vantaggio, rischia l’impallinamento», assicurano loro che sono super-esperti), chi per Marini («Di nuovo una pipa fumante al Quirinale, dopo Pertini, che bello!»).



VOTI E VINI


I berluscones alla Camera quasi non ci sono alla vigilia. Stanno coperti, nei loro accampamenti, in attesa delle direttive del Cavaliere. Ma un grande tifoso azzurro di Marini - ossia l’ex ministro democristianissimo Rotondi - passeggia tutto contento. A chi gli dice, quando ancora tutto è assai incerto e non è detto che adesso sia certo, che «Marini ha 80 anni», risponde: «Guardate che lui è di razza assai longeva. Suo padre è morto pochi anni fa». Insomma Marini, se sarà lui, potrà farsi addirittura due o tre settennati? Queste le ironie che fioccano. Insieme ai consigli che - mentre solca il Transatlantico verso sera e poi si ferma a parlare di vini regionali con Maroni dopo aver parlato di ricci di mare con Zaia - Vendola riceve dai democrat convertiti al marinismo: «Nichi, non fare scherzi, eh?!». Marinisti, rodotariani, renziani che il vecchio Franco mai e poi mai, numeri che si prevedono ballerini, franchi tiratori anti-inciucio in agguato, l’sos lanciato dal bersaniano Emanuele Fiano («C’è una mail bombing a favore di Rodotà») e nel fondo il dubbio amletico che a sinistra in tanti riassumono così, in maniera filologicamente scorretta: accontentare Berlusconi o accontentare Grillo? Ma per fortuna, nella pochade dei quirinabili in cerca d’autore senza un regista come Pirandello e delle affinità poco elettive che faticano a condensarsi, un anziano saggio centrista, Angelino Sanza, che ha partecipato all’elezione di tre presidenti (Cossiga, Scalfaro, Ciampi), cerca di solidificare la liquidità con queste parole: «Un Paese in emergenza grave dovrebbe avere il senso di responsabilità di eleggere il Capo dello Stato al primo colpo. Come riuscirono a fare De Mita e Natta con Cossiga». Oggi si vedrà.