Telecom, tra ritardi e veti la banda ultra larga non decolla

Marco Patuano
Marco Patuano
di Andrea Bassi
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Lunedì 2 Marzo 2015, 07:34 - Ultimo aggiornamento: 12:42
La storia della rottamazione della rete di Telecom Italia è la storia di un fidanzamento rotto praticamente sull'altare. E, come a volte capita, è un fidanzamento che si è rotto perché in troppi hanno voluto mettere bocca negli affari privati dei promessi sposi. Telecom e il fondo F2i, che insieme al Fondo Strategico Italiano della Cassa depositi e prestiti controlla Metroweb, la società che ha cablato la città di Milano, erano arrivati a un accordo. Una lettera di intenti che prevedeva un investimento comune nella banda larga con l'ingresso di Telecom in Metroweb, oppure con la creazione di una nuova società, la tradizionale Newco, da capitalizzare con 500-600 milioni ciascuno e iniziare a stendere fibra ottica in giro per l'Italia in modo da portare connessioni ad alta velocità fin dentro le case degli utenti (fiber to the home).



Anche il fondo strategico della Cassa depositi e prestiti, fino ad un certo punto della trattativa, era sembrato essere d'accordo con questo schema. Una sola condizione aveva posto Telecom Italia per chiudere l'intesa: il controllo con almeno il 51 per cento della società per la fibra ottica. Il punto di vista dell'ex monopolista è chiaro, essendo la rete il suo principale investimento strategico, non può permettersi di non controllarlo.



ARRIVA LA POLITICA

Ma al tavolo di Metroweb-Telecom, ad un certo punto ha voluto sedersi anche la politica: Palazzo Chigi, in primis, attraverso il consigliere economico Andrea Guerra, ex amministratore delegato di Luxottica, e Raffaele Tiscar, vice segretario generale della presidenza del Consiglio. Anche su pressione degli altri operatori (Wind aveva proposto di conferire la propria rete di Infostrada e Vodafone si era invece detta pronta a investire in modo cospicuo in Metroweb), gli uomini del premier avrebbero messo un veto ad una partecipazione maggioritaria di Telecom. La società della rete, nella loro visione, dovrebbe essere una società «condivisa». Ma quella del condominio su un investimento strategico come la rete, per Telecom Italia è una bestemmia. Come se non bastasse, anche i sondaggi preventivi con l'Antitrust non avrebbero dato gli esiti sperati.



Il garante del mercato aveva fatto sapere che avrebbe imposto dei «remedies», degli obblighi in capo all'ex monopolista, scalzando di fatto i cugini dell'authority delle Comunicazioni, che pure in teoria sarebbero competenti a riguardo. Insomma, alla fine i galli nel pollaio erano diventati così tanti, che Telecom ha preferito fare da sola. La scelta probabilmente più razionale, per quanto nel gran pasticcio della banda larga in Italia sia possibile esserlo. Si prenda il garante delle tlc. Da anni continua a ridurre il prezzo di affitto della rete in rame, spingendo gli investimenti verso una tecnologia basata sul doppino, la Fiber to the cabinet. Il governo invece vuole la fibra fino a casa, la Fiber to the home. Due politiche industriali diametralmente opposte.



E in questo quadro le società private sono chiamate a decidere come e quanto investire.
Cosa succederà ora? Risedersi al tavolo con Metroweb forse è ancora possibile, ma forse sarà più semplice senza la pistola puntata alla testa della rottamazione della rete e dei prezzi amministrati.
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