NEW YORK-BRUXELLES «Putin non dovrà vincere la guerra. Le sue azioni coprono di vergogna la Russia e lo storico sacrificio del suo popolo in occasione della seconda guerra mondiale». Il comunicato del G7 al termine del summit virtuale di ieri conferma la coesione dei paesi che rappresentano le maggiori economie del mondo, di fronte all’aggressione russa in Ucraina. I premier di Stati Uniti, Canada, Francia, Germania, Inghilterra, Italia e Giappone, con l’aggiunta del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, si sono accordati su un nuovo giro di vite delle sanzioni con le quali cercano di spingere Mosca nell’angolo dell’isolamento finanziario. La strategia sta funzionando, dice la Casa Bianca, le sanzioni hanno inflitto danni profondi all’economia russa e il controllo delle esportazioni occidentali ha strangolato l’accesso a tecnologie essenziali per alimentare le ambizioni militari dello Zar. Due delle maggiori fabbriche nazionali che producono carri armati sono ferme per mancanza di componenti, e almeno mille aziende del settore privato hanno lasciato il Paese. Le nuove misure aggiungeranno nuovo peso alla deterrenza già in atto. Con Zelensky che ha ribadito, una volta di più, la necessità che i russi «si ritirino da tutta l’Ucraina. Proteggeremo la nostra sovranità e l’integrità territoriale».
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COLPITI I MEDIA
Nuove sanzioni colpiranno la macchina mediatica che produce fake news cercando di allargare il consenso da parte dei cittadini russi nei confronti dei loro leader: le tre maggiori reti televisive di regime perderanno gli introiti dai paesi esteri che in parte le finanziano.
QUI BRUXELLES
Ieri, in tarda mattinata, a Bruxelles sono tornati a riunirsi i rappresentanti permanenti dei Ventisette, ma si è registrato un nuovo nulla di fatto sul sesto pacchetto di sanzioni che, tra le altre cose, introduce pure l’embargo del greggio russo tra sei mesi e dei prodotti raffinati entro fine anno. Si continua a negoziare a oltranza, dopo le fumate nere degli ultimi cinque giorni, in particolare con l’Ungheria di Viktor Orbán, che ieri è tornata ad alzare nuovamente la posta. L’obiettivo dei nuovi contatti tra oggi e domani è quello di trovare la quadra nelle prossime 36 ore.
Nonostante Budapest sia stata più volte accusata di eccessiva vicinanza al Cremlino, a Bruxelles prevale l’interpretazione per cui l’opposizione di Orbán sia tecnica e non politica, vista la radicale dipendenza dell’Ungheria dal greggio russo. Orbán, che inizialmente aveva indicato in cinque anni la finestra di tempo minima per poter dire addio al greggio russo, avrebbe chiesto un’eccezione permanente oppure importanti compensazioni economiche per la riconversione industriale degli impianti nazionali. È da questa posizione negoziale che ripartono i contatti bilaterali con l’esecutivo Ue, mentre Grecia, Malta e Cipro potrebbero aver ottenuto, secondo alcune indiscrezioni, l’eliminazione del divieto imposto alle compagnie di navigazione e assicurative di trasportare o assicurare i carichi di petrolio russo; una disposizione esplosiva che punta a colpire le esportazioni di Mosca ovunque nel mondo, ma che si rivelerebbe un boomerang in assenza di un’intesa con gli armatori delle altre principali economie mondiali.