Si vanno perdendo. E, in alcuni casi, qualcuno ne sarà pure contento. Non sono infatti sempre appellativi edificanti, e anzi al di là delle argute ironie, talvolta sono proprio parole volgari (e non solo nel vero senso della parola). Tuttavia raccontano una storia, lunga, antica, di una lingua acuta prima che tagliente, depositaria di narrazioni sedimentate nel tempo che spesso, in fondo, rivelavano l’aroma di intense relazioni umane basate sull’osservazione e quindi sulla conoscenza profonda dei propri vicini. Conoscenza ormai desueta.
I termini
Ma spieghiamo meglio... La geografia salentina che rimanda a pianure, serre, costiere e territori popolati di borghi e cittadine varie, è sempre stata animata da una sorta di topografia “altra”, dove i nomi ufficiali custoditi da carte o mappe (oggi Google Maps o navigatori vari) sono stati accompagnati da una versione dialettale, per lo più nota solo localmente. E non solo della cittadina, quanto soprattutto dei suoi abitanti definiti con soprannomi riconducibili raramente alle proprie virtù. Qualche esempio? Riportiamo fedelmente (non ce ne vogliano): a Castrignano dei Greci sarebbero “lardùsi”, a Novoli “facce te quatàri”, a Gallipoli e Surano “ciucci”, a Cannole “cuzzari”, a Spongano “pacci lunatici”, ad Alezio “picciuttari”, a Caprarica “crape” ecc ecc. Parte da qui Rossella Barletta nel suo “Insultario salentino. Viaggio tra i soprannomi popolari” (Edizioni Grifo; 15 euro; 176 pagine) una mappatura “seria” di maldicenze, epiteti o soprannomi popolari che dir si voglia, racchiusa tra pagine farcite di storia e tradizione folklorica, racconti tramandati e dicerie diventate leggenda. È il risultato di una ricerca della studiosa appassionata di storia leccese e salentina, autrice di numerose pubblicazioni, che l’ha portata, come lei spiega, a scoprire “una sorta di radiografia del carattere dei nostri antenati, mettendo a nudo la loro dabbenaggine e, nel contempo, il modo di curiosare e di rapportarsi, a volte ingenuo, a volte cinico, caustico, coi propri vicini o confinanti”.
Le origini
Non è solo una caratteristica salentina ovviamente, anche perché questo vezzo irresistibile di motteggiarsi tra paesi vicini pare abbia origini antichissime: «si fa risalire al tempo dell’antica Grecia per il fatto che questa era divisa in città-stato fra loro rivali. Poi continuò con i Romani che, pur avendo unificato la Penisola e creato perfino un impero, non riuscirono a cancellare la citata consuetudine» spiega Barletta. Nella storia è rimasta una costante quella di rivaleggiare tra città e paesi dello stesso ambito regionale, anche per motivi commerciali, per gelosie, per ambizioni calpestate. Autori di motti e dileggi sono stati governanti, combattenti, poeti, varie forme di trascinatori di popoli. In queste pagine la studiosa ha riunito i vari dileggi dedicati ad ogni comune della sconfinata provincia leccese, dividendo il territorio per macro aree che raccolgono vari paesi con il loro nome anche in dialetto: Terre dei Messapi, Valle della Cupa, Grecìa Salentina, Serre Salentine, Borghi d’incanto e Capo di Leuca. Ha così ricordato che ci sono soprannomi comuni a molti luoghi diversi, ma con spiegazioni differenti legate a curiose tipicità, cercando una contestualizzazione intuitiva con tradizioni, antichi mestieri, abitudini di quello o l’altro borgo.