Scuola e competenze, mini tour in Puglia per l’economista Andrea Gavosto

Scuola e competenze, mini tour in Puglia per l’economista Andrea Gavosto
di Eleonora MOSCARA
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Venerdì 21 Ottobre 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 01:49

Una scuola bloccata quella italiana, che deve e può ripartire dalle riforme, dai metodi, dagli insegnanti ma anche e soprattutto dalle famiglie e dall’opinione pubblica. Un’ampia e chiara visione quella data dall’economista Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, nel suo saggio intitolato proprio “La scuola bloccata”. Lui stesso in questi giorni è in Puglia per presentarlo e dopo l’incontro tenuto ieri nella Libreria Feltrinelli di Bari, oggi pomeriggio sarà nel Salento, ospite del Liceo Scientifico “Leonardo da Vinci” di Maglie.
Riflessioni dettagliate quelle di Gavosto riferite in maniera oggettiva in un approfondimento, rispetto all’istituzione scolastica italiana, che non manca di proposte e spunti di riflessione per far sì che ci sia anche la possibilità di sblocco e migliori prospettive.

Qual è l’obiettivo di questo libro?

«Quello che mi interessava era portare alla discussione pubblica la scuola, puntare una luce su cosa funziona e su ciò che invece andrebbe sbloccato ed elaborare una serie di proposte per il miglioramento della scuola italiana. A giudicare dai i programmi elettorali, purtroppo tutto ciò che riguarda questo argomento vede protagoniste poche idee, vecchie e non suffragate da un’analisi di dettaglio».

Perché lei ritiene la scuola bloccata? 

«Ci sono tante cose che andrebbero fatte e di cui si discute da anni, carriere, tempo pieno, orientamento, metodi di assunzione degli insegnanti. Queste riforme su cui il consenso c’è, in realtà, non vengono mai attuate. Il libro intende capire cosa fare per sbloccare questi processi di riforma, nei primi anni 2000 ci ha provato Berlinguer, più tardi c’è stato Renzi ma nessuno è riuscito a portare a casa la riforma della scuola».

Come si posiziona l’Italia nel panorama occidentale?

«Non particolarmente bene, mentre la scuola primaria e quella dell’infanzia funzionano bene anche nei confronti del resto d’Europa, le scuole medie e superiori perdono terreno. Sebbene i licei garantiscano una preparazione adeguata, gli istituti tecnici e professionali rimangono molto indietro rispetto al sistema europeo».

Qual è stato a suo avviso il più grande fallimento all’interno dell’istituzione scolastica?

«Il grande problema è come si insegna. La formazione dei docenti purtroppo in Italia non riguarda sufficientemente il metodo didattico. Dopo la primaria che funziona bene, infatti, per insegnare basta avere la laurea ma non è richiesta nessuna esperienza e nessuno studio su come far apprendere una materia. In tutti gli altri paesi per accedere a questa professione è necessario fare pratica e studiare le metodologie. Solo in Italia esiste la convinzione che se una persona può insegnare allora è anche in grado di farlo.

Non è affatto così. Oggi lo studente è protagonista della lezione che essendone attore principale impara meglio, mentre la metodologia del professore che spiega l’80% del tempo è vetusta e non dà buoni risultati».

Le politiche scolastiche hanno a che fare prevalentemente con gli insegnanti?

«La scuola cammina con le gambe degli insegnanti. Il problema è come attrarre i migliori laureati a fare gli insegnanti, professione oggi non ambita e perseguita da chi non ha i migliori voti di laurea. Con basse retribuzioni, basso prestigio sociale e assenza totale di sviluppi salariali e di carriera. Tutti questi non sono ingredienti per attrarre i migliori laureati come succede nei paesi scandinavi. Vorrei che fare insegnante fosse come fare il medico, professione che richiede grande preparazione, adeguata retribuzione e risposte ai propri risultati».

C’è un metodo, a suo avviso, per fare in modo che i ragazzi diano il meglio?

«Il ruolo dell’educatore è innanzitutto quello di riuscire a trarre le migliori caratteristiche di ogni alunno. Bisognerebbe cercare di essere inclusivi, aiutare coloro che sono svantaggiati per diverse ragioni e cercare un metodo di personalizzazione dell’insegnamento ma, ritengo importante anche l’estensione al pomeriggio delle ore scolastiche. La scuola ha bisogno di sviluppare delle attività trasversali per stimolare la crescita di più competenze. Sport, arte, musica, sono solo alcune delle attività aggiuntive che gli alunni potrebbero approfondire vivendo insieme la scuola anche nelle ore pomeridiane».

Se la scuola che lei analizza è bloccata, allora vuol dire che c’è una maniera per far sì che si sblocchi?

«Se c’è un blocco c’è anche un potenziale di sblocco e la scuola ne ha tantissimo. La chiave è un maggiore coinvolgimento delle famiglie e dell’opinione pubblica, oggi il nostro Paese è poco interessato alla scuola, pensate all’ultima campagna elettorale. Quante volte ne avete sentito parlare? La scuola non è solo la pagella a casa, la scuola è contatto tra alunni, insegnanti e famiglie, un contatto che dovrebbe essere quotidiano».

L’autorità degli insegnanti spesso viene messa in discussione in primis proprio dai genitori, perché succede a suo avviso?

«Questo è un problema affrontato da molti sociologi. I genitori quasi abbandonano il loro ruolo educativo per compiacere i figli e disinteressarsi alle regole. Diventano i sindacalisti dei figli, atteggiamento sbagliato ma in parte dovuto al sistema scolastico. I genitori smetterebbero di avere atteggiamenti aggressivi se gli insegnanti spiegassero quotidianamente quello che fanno e perché, chiarire le attività svolte ma anche l’importanza dei voti, passaggio fondamentale per la maturazione, aiuterebbero a risanare questo problema. Perché la scuola non è solo un voto sulla pagella, la scuola è dialogo e crescita per tutti».

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