La “difficile” santità dei Martiri di Otranto

La “difficile” santità dei Martiri di Otranto
di Nicola DE PAULIS
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Lunedì 25 Ottobre 2021, 05:00

Il sacco di Otranto del 1480 e la conseguente strage degli ottocento cittadini superstiti sul colle della Minerva è certamente la pagina più importante della storia civile e religiosa del Salento. Una tragedia che però resta ancora aperta, su cui la storiografia non ha dato risposte esaurienti e definitive. Tra le tante, due risultano le domande che attendono di trovare plausibili spiegazioni. La prima: perché Otranto? La seconda: perché non bastano cinque secoli per riconoscere il martirio per fede?

Sulla prima poco si può aggiungere a quello che la ricerca ha già documentato. Sulla seconda invece, cioè sulla durata pluricentenaria dei processi di santificazione, il recente volume dal titolo “La via della santità. Studi sui processi di canonizzazione secoli XVII-XIX” di Mario Spedicato, docente di storia moderna all’Università del Salento e presidente della sezione leccese di Storia Patria nonché studioso della storia religiosa del Mezzogiorno d’Italia, ritorna sui processi in corso sugli Ottocento martiri cercando di ricostruire i vari passaggi istruttori per fornire qualche plausibile risposta ai tanti interrogativi tuttora aperti.

Da Valona 150 navi con 18.000 soldati turchi

Otranto non era l’obiettivo dei turchi, scrive lo studioso. La flotta ottomana di 150 navi al comando di Gedik Ahmet Pascià, condottiero agli ordini del sultano turco Mehmed (Maometto) II, era partita da Valona in direzione di Brindisi, considerato il porto aragonese strategicamente più importante. I piani però cambiano durante la traversata e Otranto, suo malgrado, diventa l’obiettivo principale della ritorsione turca. Altro non è stato finora accertato, come sulle cause di questo ripensamento militare (se di ciò si tratta), senza escludere neppure che sia stato il forte vento di tramontana che abbia spostato verso sud (cioè proprio verso Otranto) l’agile naviglio ottomano. Fatto sta che il 28 luglio del 1480 un esercito stimato in circa 18mila uomini sbarcò sulla costa salentina nei pressi dei laghi Alimini, in quella zona che adesso si chiama Baia dei Turchi proprio in ricordo di quell’invasione. L’assedio della città, difesa da un esiguo manipolo di soldati scarsamente armati, durò circa due settimane. Poi Otranto capitolò e la sua popolazione venne massacrata dagli invasori.

Fin qui la ricostruzione storica. Più laborioso invece, secondo l’autore del libro, è il tentativo di rispondere alla seconda domanda, relativa alla mitografia sugli Ottocento martiri, che riguarda la loro ascesa agli onori dell’altare. Il problema, come è noto, è stato chiuso dalla Chiesa il 13 maggio 2013 con la canonizzazione di Primaldo (al secolo Antonio Pezzulla, un tessitore otrantino che aveva arringato i propri concittadini esortandoli a non abiurare il proprio credo religioso come avrebbero voluto i turchi e che per questo fu il primo a essere decapitato sul Colle della Minerva) e dei suoi compagni, ma la ricerca ancora si interroga sul perché ci sia voluto tanto tempo per riconoscere i requisiti di santità. Gran parte di questi interrogativi sono legati alle testimonianze raccolte nel primo processo canonico aperto nel 1539 dall’Arcivescovo Pietro Antonio de Capua.

I testimoni sopravvissuti all’eccidio non fornirono prove documentali certe sul martirio per fede. Per questa ragione la causa di beatificazione già all’epoca si bloccò. Bisogna attendere il Settecento perché essa venga “risvegliata” e perché si possa conseguire qualche ulteriore risultato, seppure molto contraddittorio in quanto costruito in parte su fonti non autentiche e vistosamente contraffatte.

A favore della tesi della morte per fede, su cui si schierano a partire dalla fine del Quattrocento diversi uomini della chiesa del tempo, restano fortemente attestati i vescovi della città, che si prodigano per tenere viva la causa nonostante le sfavorevoli condizioni di partenza. Anche l’amministrazione civica fa la sua parte adottando gli Ottocento come patroni principali in seguito alla vittoriosa battaglia di Lepanto (1571). Una forzatura (messa in opera senza il placet canonico) che consente per un verso di ricordare l’eccidio del 14 agosto con una messa “pro martirybus” e per l’altro di tenere in piedi una tradizione devota (per il popolo erano da sempre i “Santi Martiri”) che tornerà utile due secoli dopo quando la chiesa riconosce che il caso otrantino non può essere annoverato tra quelli ordinari (previsti dalle norme statuite da papa Benedetto XIV), meritando un percorso istruttorio diverso, fondato sulla tradizione e non solo sulla documentazione superstite raccolta negli atti.
Fu quella una svolta che cambiò il passo al processo, anche per interesse di un otrantino (monsignor Tommaso De Marco) molto influente nella curia romana, con la chiusura nel 1771 della prima fase che riconobbe agli Ottocento martiri il titolo di beati.

Per raggiungere la proclamazione di santità però, da allora ci sono voluti altri due secoli e mezzo. E questo la dice lunga sugli ostacoli insuperabili rimasti sulla via del processo. Dare conto di questa interminabile paralisi istruttoria potrebbe aiutare a comprendere perché la morte per fede ancora non riesca a convincere appieno i giudici romani, molto severi nel legittimare questa testimonianza per Primaldo e compagni e pronti invece a riconoscerla al vescovo Stefano Pendinelli Agricoli che venne ucciso nella Cattedrale otrantina mentre stava celebrando la messa per i fedeli che si erano rifugiati lì e che furono anche loro trucidati (la testa del prelato venne poi portata per le strade come trofeo dagli invasori). 

La "svolta" con Papa Wojtyla e Papa Francesco

Solo per volontà di papa Giovanni Paolo II che visitò Otranto nel 1980, in occasione del quinto centenario dell’eccidio, il processo venne infatti rilanciato e quindi concluso positivamente più di trent’anni dopo con la proclamazione di santità degli Ottocento da parte di papa Francesco, il 12 maggio 2013.
«Il paradosso di questo epilogo - scrive infine il professor Spedicato - è che il vescovo Pindinelli resta escluso da questo riconoscimento. L’unico personaggio che le fonti in maniera univoca segnalano come testimone e martire della propria fede sfugge incomprensibilmente al computo del tribunale romano».

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