Ma lo stato è su Facebook?
Grimaldi: «Così cambiano le parole»

Mirko Grimaldi
Mirko Grimaldi
di Claudia PRESICCE
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Martedì 10 Luglio 2012, 18:59 - Ultimo aggiornamento: 11 Luglio, 12:28
Il potere delle parole cambia nel tempo. E anche le parole del potere cambiano. Ma questo sempre accaduto: il posto viene lasciato a termini pi attuali, o forse solo pi funzionali a chi li usa a scopo manipolatorio.
Ma dove rintracciare il potere delle parole? Quali sono le parole che hanno potere oggi e perché ce l’hanno? Il linguista Mirko Grimaldi, docente dell’Università del Salento, dice che bisogna partire da lontano.



«Le parole hanno tutte un loro potere - spiega Grimaldi - infatti del momento straordinario in cui l’uomo è riuscito a produrre un atto di parola, creando uno spartiacque enorme con le altre specie viventi, è rimasta traccia indelebile nel nostro immaginario primitivo. Tanto che abbiamo poi pensato un Dio che crea il mondo praticamente con un atto di parola, semplicemente nominandolo: un episodio dirimente sull’impatto emotivo che l’uomo ha legato all’esercizio della parola e al suo potere».



Oggi però viviamo nel mondo delle immagini...

«È vero in parte. Chi sa usare le parole fa sempre “fare cose” alle persone e tanti agiscono manovrati dal potere delle parole altrui».



L’aspetto più evidente di questo fenomeno è la pubblicità.

«Sfrutta la retorica classica, conosciuta tecnicamente solo da chi la studia, per convincerci a comprare un prodotto, con allitterazioni, assonanze e rime, utilizzate nella poesia, per veicolare prima un messaggio, farlo memorizzare velocemente e indurci a comprare. Due esempi facili: “Costa Crociere. La vacanza che ti manca” è una rima per assonanza; oppure “Morositas prendila morbida” un’allitterazione continua per rendere più incisivo il messaggio. Questa tecnica è usata per indurci inconsapevolmente a comprare cose inutili, ma è utilizzata anche per la propaganda politica».



Veniamo alle parole della comunicazione politica.

«Obama nella vecchia campagna elettorale ha utilizzato molto la tecnica del “frame”, elaborata dallo psicolinguista Lakoff, che consiste nell’idea che le parole non sono sganciate dalle operazioni mentali. Se dico “non pensare ai soldi”, tu ci pensi lo stesso perché le parole pronunciate attivano nel cervello collegamenti a prescindere dalla nostra volontà. Obama è riuscito a creare una cornice - un frame - all’interno della quale ha incapsulato la sua visione per il futuro. Lo ha fatto con parole chiave: il titolo del suo libro “L’audacia della speranza” è quasi un ossimoro che riuniva due termini desueti al tempo di Bush. Poi “we can” “possiamo”, “will” per il futuro, “americans” che sta per “noi”».



E le “nostre” parole?

«Negli ultimi venti anni le parole che ci sono state imposte sono state: identità (con la Lega e il ricorso al valore del localismo), “leadership” (con i partiti rappresentati non dalle idee, ma da un leader), “visibilità” (cioè immagine), “quote rosa”, “immunità parlamentare”, poi “antipolitica”, “porcellum”... Poi dal punto di vista massmediologico l’incubo degli ultimi tempi è stato “reality”, inducendoci a pensare di trovarci di fronte alla visione di realtà, laddove invece si recita a soggetto. A livello internazionale aggiungerei anche “scontro di civiltà”».



Ci sono poi parole che rimandano a pensieri nuovi?

«La parola “stato”: quasi nessuno pensa più al proprio Paese, ma piuttosto allo “stato” di facebook, alla domanda “a cosa stai pensando?”. A questa aggiungerei senz’altro “connessione”, che riflette l’ossessione dell’essere sempre rintracciabili, ma spesso senza motivo».



Alcune parole perdono potere nel tempo e il loro uso cambia...

«C’è uno scollamento nell’uso delle parole tra le generazioni, ma questo impoverimento c’è sempre stato. Già Catone diceva: “Abbiamo smarrito il vero significato delle parole…”. Per questo lo Stato è caduto tanto in basso”. Quando le parole non sono collegate più alla realtà creano dei vuoti: “rottamazione” vuol dire tutto e nulla, perché non c’è un frame di riferimento che la riempia. Ci sono parole svuotate del significato originario, utilizzate spesso per scopi personali. Come quando Grillo dice “ha vinto la democrazia contro il capitalismo”, che è una frase sbagliata perché il capitalismo esiste in democrazia; o come Berlusconi che definisce i giudici “pazzi e antropologicamente diversi dal resto della razza umana”… Qui le parole non creano realtà, ma lasciano dei vuoti. E la politica si piega al populismo».



Quali parole perse andrebbero recuperate in politica?

«La politica dovrebbe usare le parole in modo pedagogico, altra parola antica, per farci cambiare il modo di pensare. Monti rappresenta l’etica, ma dal punto di vista della comunicazione presenta dei limiti. Da recuperare? Ci sono: silenzio, lentezza (contro la frenesia della connessione veloce), memoria, libertà di pensiero, vergogna (un termine dimenticato), giustizia e ribellione, bellezza, capacità di scegliere, impegno, idee, rivoluzione culturale e visione del futuro. Mi piace spesso ripensare a una famosa frase di Giovanni Falcone: “chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola”. Ecco, lui ha testimoniato con la vita la coerenza delle parole».


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